[15/12/2011] News

Lezione di economia ecologica di Clini, Confindustria imparerà?

Uno dei nostri slogan storici è che o l'economia è anche ecologica oppure non è. Non è in senso stretto, ovvero non è "gestione di risorse scarse" come da definizione. Un concetto non lontano da quello affermato oggi dal ministro dell'Ambiente Corrado Clini intervenendo alla conferenza "Enviromentally related taxes and fiscal reform" presso il Ministero dell'Economia: «Rispetto dell'ambiente e crescita economica sono due facce della stessa medaglia e si tengono insieme proprio attraverso un uso corretto della leva fiscale».

«Si tratta - ha spiegato Clini, sorprendendoci dobbiamo dirlo, quasi come tenesse una lezione di economia ecologica - di disincentivare i combustibili fossili e incentivare invece l'uso di fonti alternative e rinnovabili. I benefici, anche fiscali, possono essere maggiori degli eventuali costi. Questo è il percorso che deve legare Roma con Bruxelles e con Durban».

«I nuovi impegni ambientali, come quelli decisi a Durban - ha spiegato il ministro - impongono in tutta Europa un sistema di penalizzazioni e soprattutto di premi per orientare produzione e stili di consumo verso l'innovazione. In sede europea e in Italia si deciderà presto un quadro di incentivi e di ecotasse a favore di un'energia più pulita. La scelta spetterà ai consigli europei dei ministri che si occupano di ambiente, finanze (Ecofin) e competitività; in Italia dovranno lavorare insieme i ministeri di Ambiente, Economia e finanze, Sviluppo economico. Chi produce o consuma in modo rispettoso per l'ambiente avrà un vantaggio economico competitivo; l'aggravio per chi non saprà innovare darà i fondi per finanziare e incentivare l'innovazione».

«Il caso dell'esenzione fiscale del 55% sull'efficienza energetica - ha rilevato il ministro Clini - dimostra che il beneficio economico è maggiore del costo. Oltre al risparmio dei cittadini sulla bolletta energetica e sulle tasse, oltre alla riduzione dei costi per le emissioni di CO2, oltre al contenimento del disavanzo energetico dell'Italia, se non ci si ferma alla sola copertura dei costi, ma leggendo in chiave di conto economico, il Fisco (tra Iva e Irpef generate, emersione dell'Iva, occupazione creata) incassa tre volte la spesa sostenuta».

Peccato solo che anche il ministro si sia dimenticato di inserire nell'analisi la materia, il convitato di pietra solito di quasi tutte le dissertazioni ambientali. Ci pensiamo noi allora a ricordare che per verificare la sostenibilità ambientale è indispensabile confrontare i flussi in ingresso di energia certo ma anche di materia e quelli in uscita quali scarti e rifiuti dei processi.

Pure qui la leva fiscale può molto, se solo si avesse in testa che anche la materia può essere rinnovabile se si ricicla e si fa funzionare il mercato delle materie riprodotte: questa è la green economy, l'altra al massimo può definirsi energy economy.

Allargando lo schema, dentro all'economia ecologica ci sta la buona gestione del territorio intesa come riduzione del consumo di suolo e messa in sicurezza contro il dissesto idrogeologico e ancora difesa della biodiversità attraverso l'uso di prodotti a basso impatto ambientale e un'agricoltura e un allevamento altrettanto non depauperativo delle risorse.

Da qui si può rilanciare anche l'economia italiana e questo input del ministro dovrebbe essere raccolto meglio anche da Confindustria che invece anche nell'analisi delle prospettive future fatte dal suo Centro Studi, non ci pare colga appieno questa chance.

La presidente Marcegaglia ha ribadito anche ieri l'importanza del risparmio e dell'efficienza energetica e l'importanza delle rinnovabili, tuttavia ritiene ancora la green economy un volano e non il cuore di un nuovo modello industrial-economico come invece, è il nostro punto di vista, sarebbe necessario.

Nulla sarà come prima lo ribadisce pure Confindustria, ma ci pare che non abbia in testa un modello alternativo e migliore di quello passato. Date per buone le analisi e i numeri su recessione e disoccupazione previsti al 2013, per evitare che al bivio non si finisca nella "spirale" che « innescherebbe il dissolvimento della moneta unica, il fallimento di decine di migliaia di imprese e di centinaia di banche, la perdita di milioni di posti di lavoro e l'esplosione di deficit e debiti pubblici anche nei paesi che oggi si considerano virtuosi», le proposte alternative non convincono.

Se «il 2012 è ormai compromesso nell'Eurozona e in Italia a causa dell'andamento nell'ultima parte del 2011 e dell'inerzia che graverà sulla prima metà del prossimo» la sfida per noi non "è preparare oggi le condizioni per avere la ripartenza tra un semestre, in modo da far tornare il segno positivo nella variazione del PIL nel 2013», ma preparare oggi e inseguire un modello di sviluppo che faccia crescere quello che vogliamo che cresca e che dia stabilità e occupazione duratura anche per le generazioni future. Quella stagione di riforme che di nuovo chiede Confindustria è invece certamente in alcune parti condivisibile,ma ci pare monca e anche contraddittoria: «innalzare il tasso di crescita dell'economia italiana migliorando l'efficienza della pubblica amministrazione, accorciando drasticamente i tempi della giustizia, aumentando il grado di concorrenza nei servizi, elevando quantità e qualità dell'istruzione, rimuovendo gli ostacoli all'occupazione, potenziando la protezione del welfare, incentivando e promuovendo ricerca e innovazione, innalzando il tasso di occupazione giovanile e femminile, riducendo i divari regionali». Come pensa ad esempio di potenziare la protezione del welfare dovrebbe spiegarcelo visto il suo atteggiamento verso i contratti dei lavoratori...

Ma soprattutto non vediamo come detto attenzione all'economia ecologica nel contesto della quale segnaliamo un punto delle richieste di Confindustria che forse a molti è sfuggito: «La sola rimozione delle carenze infrastrutturali porterebbe, secondo alcune stime, a un incremento del 12% del PIL nei prossimi 10 anni. Certamente occorrono maggiori risorse, da reperire risparmiando su altre voci di spesa pubblica, facendo leva sui capitali privati, introducendo tasse di scopo, emettendo titoli appositi e dismettendo la parte del patrimonio non strategico. Ma bisogna anche diminuire i costi delle opere, selezionandole e cambiando progettualità e realizzazione, e dei lavori compensativi necessari ad acquisire il consenso».

Quest'ultimo punto "diminuire i costi delle opere riducendo i lavori compensativi necessari ad acquisire il consenso" non solo è una novità, visto che finora si è sempre pensato che fosse l'unica strada per realizzare opere mal digerite dalla cittadinanza, ma la cui eventuale efficacia è tutta da dimostrare. Magari qualche amministrazione potrebbe così non lanciarsi in operazioni dove sono le compensazioni la parte più ghiotta rispetto all'opera, ma dall'altra parte c'è pure il rischio di chi imporrà lo stesso l'opera e pure senza o quasi compensazione. Insomma, questo non era il criterio giusto prima - lo è il rapporto costo benefici sociali e ambientali - e rischia di esserelo ancor meno in futuro.

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