[13/12/2011] News

Riserve marine, in rosso

Neppure COP 17, la diciassettesima Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici che si è appena conclusa a Durban, in Sud Africa, è riuscita a rompere il muro dell'attenzione dei media. Schiacciata, almeno in Occidente, dalle notizie riguardanti la crisi finanziaria. È quasi inevitabile, dunque, che i mezzi di comunicazione di massa diano poco o nulla spazio all'altra Convenzione, quella sulla Diversità Biologica, proposta alla Conferenza UNCED di Rio de Janeiro e che, dunque, nel 212 festeggerà i suoi primi vent'anni.

Festeggerà è un verbo, forse, fuori luogo. Perché molti degli obiettivi che ci si è posti nell'ambito di questa legge quadro internazionale non sono stati raggiunti. Prendiamo, a esempio, la creazione di aree protette negli Oceani, afflitti da un calo del pescato che è indice di una calo della diversità biologica.

Ebbene, in occasione di un altro anniversario, quello dei dieci anni (nel 2002) le Parti che hanno sottoscritto la Convenzione sulla Diversità Biologica concordarono che, entro il 2012, almeno il 10% della superficie degli oceani (che copre oltre il 70% della superficie totale del pianeta Terra) sarebbe dovuta diventare protetta. Il 2012 è alle porte, ma secondo l'UNEP (United Nations Environment Programme) le aree marine protette (MPA) nel mondo sono 5.900, per una superficie totale di 4.000.000 di km2. Sembra tanto, ma si tratta di appena l'1,17% delle superficie degli oceani. Un decimo dell'obiettivo.

Ancora una volta i quasi 200 paesi del pianeta non riescono a raggiungere il traguardo ambientale che essi stessi si sono dati.

Quando la differenza quantitativa tra un progetto e la sua concreta realizzazione è così grande, assume inevitabilmente anche un valore qualitativo. Difficilmente, in queste condizioni, la biodiversità marina può essere conservata.

Ma in quelle 5.900 aree marine protette cosa sta succedendo?

Per rispondere a questa domanda, Peter Jones, un ricercatore dello University College di Londra, ha realizzato, con uno stuolo di colleghi, un'indagine commissionata proprio dall'UNEP, analizzando 20 MPA, incluse quelle della Grande Barriera Corallina e della Galapagos. Ebbene nessuna delle 20 MPA ha raggiunto almeno 3 dei 5 obiettivi strategici, ivi inclusi quello della conservazione della biodiversità e dell'uso sostenibile delle risorse. E 3 delle 20 MPA prese in considerazione non hanno raggiunto nessuno degli obiettivi. Tra queste tre ce n'è una a noi vicina, quella di  Cres-Lošinj in Croazia.

La verità è che tra le 5.900 MPA registrate, alcune esistono solo sulla carta. Spesso per mancanza di soldi.

Tuttavia questa è solo una parte della verità. L'altra ci viene proposta dall'equipe di Sarah Lester, ecologa marina della University of California di Santa Barbara. Che nel 2009 hanno sottoposto a esame 124 riserve marine "no-take", in cui è completamente proibita la pesca e qualsiasi altra sottrazione di risorse. In tutte queste riserve è stata riscontrata un aumento documentato di biomassa, di diversità biologica e di popolazione per ciascuna specie.

Morale, la creazione di MPA serve. Quando la riserva non è sulla carta, ma è un vero santuario di conservazione, produce non solo effetti tangibili e desiderabili, ma anche cultura delle conservazione. «La creazione di una riserva marina come la mia - ha dichiarato alla rivista scientifica Nature Jay Nelson, il direttore dell'area marina protetta di Papahānaumokuākea alle Hawaii - è l'equivalente della creazione nel 1872 del Parco Nazionale di Yellowstone». Non ha prodotto solo un effetto locale. Ma ha avviato un processo di reazione a catena. Tutti i paesi hanno imitato gli Stati Uniti e hanno cercato di crearne uno. È così è nata una cultura diffusa della conservazione.  

Il fatto è che nel 1872 a Yellowstone il parco non fu creato sulla carta...

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