[12/12/2011] News

Quale futuro dopo Durban

Ancora una volta una Conferenza delle parti sui mutamenti climatici vissuta pericolosamente, sempre sull'orlo di un dirupo che avrebbe visto scomparire l'unico strumento multilaterale in campo, l'occasione cioe' di mettere intorno allo stesso tavolo tutti i paesi e governi del Mondo (ben 194 Paesi, Vaticano compreso) con un meccanismo di discussione stabilito dalle regole delle Nazioni Unite, che permettono al più piccolo e povero degli Stati di pesare (almeno nelle sedi formali) quanto gli Usa, la Cina o l'Unione Europea, e quando sul tavolo ci sono questioni come la crisi climatica, il surriscaldamento del pianeta, milioni e milioni di persone costrette a lasciare i loro territori perché resi invivibili dai mutamenti climatici, e' difficile immaginare strumenti diversi.

Ancora una volta dopo lunghi e difficili negoziati che addirittura hanno sforato di quasi un giorno e mezzo la fine dei lavori stabilita, si é riusciti ad evitare il fallimento e rinnovare il Protocollo di Kyoto come regime di transizione verso un nuovo accordo globale che dovrà coinvolgere anche le maggiori economie del pianeta superando l'attuale contrapposizione tra paesi industrializzati e in via di sviluppo.

In questi ultimi anni le formule di governance mondiale alle quali eravamo più abituati sono saltate e non ve se ne sono sostituite delle altre, se non a geometrie variabili, ma sicuramente in questa occasione la preoccupazione di quale posizionamento ottenere dentro il nuovo atlante della geopolitica ha giocato un ruolo molto forte. Contemporaneamente lo ha giocato il peso di un concetto che nel momento in cui devi procedere verso un nuovo "protocollo di Kyoto" fa la differenza, e cioè si riparte da zero o le responsabilità avute nel primo protocollo sia nell'inquinare che nel non averlo rispettato (stiamo parlando di coloro che hanno generato dall'inizio dell'era industriale l'80% delle emissioni di gas serra che hanno già innalzato la temperatura media globale di 0,8 gradi), vanno a farsi benedire?

La "Piattaforma di Durban" partorita ieri mattina prevede la sottoscrizione di un nuovo accordo globale entro il 2015 e la sua applicazione a partire dal 2020, e si e' riusciti ad ottenerla grazie ad un intenso lavoro del cosiddetto "green groups" (gran parte dei Paesi tranne BRIC e Stati Uniti), con un ruolo determinante dell'Europa e finalmente anche il sostegno convinto del nostro governo, che alla fine sono riusciti a convincere India e Cina ad abbandonare il gioco dei veti contrapposti e costringere gli Stati Uniti ad approvare un mandato a sottoscrivere un accordo globale che abbia il Protocollo di Kyoto come architrave.

Momenti nei quali la diplomazia ha discusso parola per parola come probabilmente nella sua natura più intrinseca, ma che visti i preoccupanti limiti dell'accordo, ha bisogno di essere rivista fino in fondo. Appare evidente che arrivare a questi momenti senza accordi almeno istruiti, tracciati precedentemente, durante i mesi tra una Conferenza delle parti e l'altra, toglie quasi completamente chance di riuscita a quest'ultime.

Vanno trovate formule e strumenti perché possano essere monitorate e condizionate nella quotidianità le azioni dei Paesi rispetto alla sostenibilita'.

Molto debole l'accordo raggiunto sul Green Climate Fund, dove si é solo riusciti a definire la struttura e le modalità di gestione del fondo destinato a finanziare le azioni di riduzione delle emissioni e di adattamento ai mutamenti climatici nei paesi poveri.

Ancora una volta manca qualunque certezza sui finanziamenti promessi a Copenaghen e confermati a Cancun attraverso una roadmap che aumenti annualmente i 10 miliardi di dollari già stanziati per il 2012, sino a garantire i 100 miliardi di dollari promessi per il 2020. Ma anche le modalità di finanziamento del fondo, che da molte parti viene richiesto siano pubblici e senza interventi di istituzioni come la Banca Mondiale, rimangono nel vago.

Cosi' come e' rimasto intatto il cosiddetto "gigatonne gap" ossia il divario (che l'Unep stima tra 6 e 11 gigatonne di CO2) tra gli attuali impegni di riduzione delle emissioni e quelli necessari per contenere il surriscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi. Partirà il trattato REDD+, con cui i Paesi sviluppati si impegnano a finanziare le iniziative di difesa delle foreste dei Paesi più poveri. Insomma le emergenze sono davvero tante e forti e ancora tempo per tattiche e posizionamenti quando parliamo del futuro della vita sul Pianeta non ce n'e', solo se questo diventerà il vero assunto del giorno dopo di questa ultima Cop potrà esserci un futuro.

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