[12/12/2011] News

Un'altra strada per l'Europa e per la sinistra

E' senz'altro un'ottima base di partenza la proposta di appello per "Un'altra strada per l'Europa" emersa dal forum di Firenze di sabato. Lo diciamo subito a scanso di equivoci e al netto delle critiche (costruttive) che inevitabilmente faremo. Ci convince l'analisi, che è - senza cadere nell'autoreferenzialità - sostanzialmente assai vicina alla nostra:

«La crisi dell'Europa è l'esaurirsi di un percorso fondato sul neoliberismo e sulla finanza. Negli ultimi vent'anni il volto dell'Europa è stato il mercato e la moneta unica, liberalizzazioni e bolle speculative, perdita di diritti ed esplodere delle disuguaglianze. Alla crisi finanziaria, le autorità europee e i governi nazionali hanno dato risposte irresponsabili: hanno rifiutato di intervenire con gli strumenti dell'Unione monetaria per arginare la crisi, hanno imposto a tutti i paesi politiche di austerità e tagli di bilancio, che saranno ora inseriti nei trattati europei. I risultati sono che la crisi finanziaria si estende a quasi tutti i paesi, l'euro potrebbe saltare, si profila una nuova grande depressione, c'è il rischio della disintegrazione dell'Europa».

Noi abbiamo parlato subito e non a caso di crisi sistemica; di necessità di un nuovo paradigma economico fondato sulla sostenibilità ambientale e sociale; del quasi nulla che è stato fatto e dell'accantonamento proprio della crisi ecologica con l'idea balzana che potesse essere sacrificata in nome di quelle che viene ritenuta ben più grave, ovvero quella finanziaria (vedi editoriale di Battista sul Corriere della Sera di oggi "Se l'apocalisse ambientale può attendere"). 

Anche per questo i cinque obiettivi proposti per far cambiare strada all'Europa individuano anche secondo noi il minimo comune divisore sul quale intervenire: ridimensionare la finanza; integrare le politiche economiche (in particolare "Le politiche industriali e dell'innovazione devono orientare produzioni e consumi verso maggiori competenze dei lavoratori, qualità e sostenibilità", che quindi chiude anche a sinistra l'epoca della visione di un futuro sostenibile solo se postindustriale); aumentare l'occupazione, tutelare il lavoro, ridurre le disuguaglianze; proteggere l'ambiente (definizione che non amiamo particolarmente, ma poi ben declinata come "sostenibilità, l'economia verde, l'efficienza nell'uso delle risorse e dell'energia devono essere il nuovo orizzonte dello sviluppo europeo"); praticare la democrazia; Fare la pace (l'integrazione europea ha consentito di superare molti conflitti, ma l'Europa resta responsabile della presenza di armi nucleari e di un quinto della spesa militare mondiale: 316 miliardi di dollari nel 2010).

Siamo molto vicini a quel nuovo paradigma economico che auspichiamo dalla nascita di greenreport peraltro avvenuta prima della grande crisi, come dire, a bocce quasi ferme. I nostri primi dubbi sono sulla "pratica della democrazia" soprattutto rispetto al precedente punto sul "ridimensionare la finanza".

Bisogna infatti rendere più esplicito il fatto che al momento le due cose hanno un problema di fondo persino a scontrarsi a causa del "tempo". I tempi di decisione dei mercati sono troppo veloci rispetto a quelli della democrazia. Questo per noi vuol dire solo una cosa: trovare le regole necessarie innanzi tutto per far drasticamente frenare il passo dei mercati che si sono persino permessi di far saltare cinque governi europei (il nostro, quello greco e prima l'Irlanda, la Spagna e il Portogallo).

Non solo, che determinano senza il ben che minimo appiglio con l'economia reale sacche di fame del mondo per ragioni meramente speculative. Un punto che non siamo certi sia abbastanza esplicitato dalla sintesi proposta nell'appello: «superare il divario tra i cambiamenti economici e sociali di oggi e gli assetti istituzionali e politici che sono fermi a un'epoca passata». Perché attualmente il contesto ci pone davanti alla realtà di fatto che solo Paesi con democrazie "variabili" hanno i tempi dei mercati, vedi la Cina, ed è una lezione che non vogliamo assolutamente imparare.

Necessarie da parte nostre alcune altre annotazioni, come dire, a piè di pagina. Da destra a sinistra (vedi Bastasin sul Sole 24 Ore) non piace l'Europa germanizzata, quella lacrime e sangue che punta tutto sull'austerità e che rischia di (lo dicono anche Alesina e Giavazzi) di mandare l'Italia in recessione. Un dato quantomeno di cui tener di conto.

Anche perché dal quotidiano di Confindustria arrivano una quantità di input che se si sanno leggere possono essere argomenti persino di condivisione e poi spieghiamo perché. L'ultimo esempio è «L'economia spiegata ai ragazzi" di ieri pubblicato appunto sul Sole dove si certifica una cosa da rimanere senza fiato visto il pulpito. Dando spiegazioni ai ragazzi appunto della crisi e delle sue motivazioni si arriva a questa conclusione: «almeno la lezione è stata imparata e oggi gli economisti e i politici stanno cercando di tirare le redini di un sistema finanziario che si era ingigantito sfruttando l'insufficienza di regole. Ma forse la ragione principale di un crisi che è piombata inaspettata fra capo e collo (udite, udite, ndr) sta in una filosofia economica che era molto (troppo) diffusa: la convinzione, cioè, che le regole non sono così importanti perché l'economia e la finanza si aggiustano da sole, correggendo da sole i propri eccessi. Non è vero: le cose non si aggiustano da sole».

Non stiamo pensando a "larghe intese" ma al fatto che il fallimento di certe convinzioni almeno è condiviso anche da coloro che fino a ieri davano di "fesso" a chi li contestava. Finalmente anche i cantori dell'epopea liberista, pensano che una qualche mordacchia vada messa agli spiriti animali del libero mercato ai quali per anni hanno fatto entusiasti sacrifici umani e di interi Paesi.

Da qui il nostro punto di vista che non è importante, ci scuserà Rossana Rossanda, aver chiaro chi è "l'avversario", bensì individuare chi sono gli amici. Dal congresso sono venute idee chiare finalmente non di semplice opposizione, ora serve una sponda politica forte che se ne faccia carico (ascoltando ad esempio la Fiom e associazioni come Legambiente che ci paiono nell'elaborazione e nell'analisi più avanti di tanti partiti...).

Infine una nota su Stefano Fassina. Boicottato da una parte del Pd oggi sull'Unità ha chiarito una volta di più - ovviamente è il nostro punto di vista - che anche in quel partito certe idee resistono, zittirle è (sarebbe) un segnale (negativo) di cui poi qualcuno dovrà risponderne. Così come qualcuno dovrà alla fine rispondere alle domande delle cento pistole: dove è davvero, dove e come vive ed opera e si organizza la sinistra italiana? E come e chi rappresenta?

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