[29/11/2011] News

La confusione domina sulle scelte politiche per l'Europa: l'altalena tra Obama e Olli Rehn

Dalla Francia parte la proposta per un inventario del debito pubblico, per sapere chi ne ha davvero beneficiato

Si fa sempre più seria la strada che vuol portare alla modifica dell'articolo 81 della nostra Costituzione, inserendovi il principio del pareggio di bilancio: è infatti prevista per oggi la presentazione alla Camera dell'emendamento al disegno di legge richiesto dall'Europa (e con precedenti, come in Spagna o Germania) col quale - come riporta l'agenzia Reuters - si vuole introdurre un organismo di controllo dei conti pubblici sul modello della Congressional budget office statunitense (ipotesi contestata dalla stessa Corte dei Conti), e col quale si prevede che dal 2014 lo Stato italiano dovrà mantenere il bilancio pubblico in pareggio, tranne nei casi di crisi o emergenze sanciti con voto a maggioranza delle Camere.

Nel frattempo, dalle più alte leve politiche europee e mondiali arrivano indirizzi antitetici, a conferma del totale spaesamento in cui attualmente galleggia il potere politico, in balia delle pressioni che provengono da quello economico e finanziario, al quale - neanche più tanto nascoste - appartengono le leve del comando, un tempo delegate ed ora capricciosamente manovrate con solida presa.

La terza pagina de la Repubblica ci informa infatti oggi che il documento-dossier sull'Italia, firmato dal commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, chiede un'ulteriore manovra da 11 miliardi al governo italiano per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 («prerequisito chiave per riguadagnare credibilità e migliorare le prospettive di crescita nel medio termine», secondo Rehn), scartando le richieste di Monti di anteporre le riforme per la crescita ai tagli.

Sconfortante, del tutto opinabile, ma chiaro. Se non fosse che, nella pagina seguente dello stesso quotidiano, sopra l'articolo a firma di Federico Rampini campeggia il titolo ‹‹Obama convince la Ue: crescita prima dei tagli››, sintetizzando poi le conclusioni del freschissimo documento congiunto Ue-Usa con la seguente scaletta: ‹‹Primo, rilanciare la crescita. Secondo, creare posti di lavoro. Terzo, assicurare la stabilità finanziaria››.

Dopo entrambi gli articoli (entrambi di pura cronaca), sta alla fantasia del lettore cercare una conciliazioni tra le due tesi. Operazione non facile, dato che non si capisce come conclusioni valide per l'Europa nel suo insieme (quelle del documento congiunto) non siano valide per un Paese, l'Italia, che dovrebbe invertire le priorità proprio quando la spada di Damocle che annuncia l'arrivo di una nuova recessione cade sulla sua testa, con i dati Ocse a vibrare il colpo e annunciare un ulteriore calo dell'occupazione, che si prevede si innalzerà all'8,6% nel 2013, dall'attuale 8,1%.

La recessione porterà con se anche un calo dei consumi e della produzione, il che rappresenta un più facile raggiungimento per l'Italia per gli obiettivi per lei fissati dal Protocollo di Kyoto in materia di emissioni. Eppure, questa rimane un magro conforto, dato che al momento non è accompagnato da un piano per il rilancio dell'occupazione all'interno di un'ottica sostenibile, l'unica percorribile all'interno dei binari dettati dai vincoli sociali ed eco sistemici all'interno dei quali i processi economici umani - è sempre bene sottolinearlo - si trovano indiscutibilmente racchiusi.

Quel che più è urgente è imbastire la strada culturale che porti ad una presa di coscienza collettiva dello stato delle cose, e per dove da qui vogliamo partire (con la speranza di approdare). I tatcheriani "non ci sono alternative" hanno spinto anche l'Europa, culla dei diritti civili e della società occidentale, in una partita a scacchi con la morte che, come insegna anche Bergman ne Il settimo sigillo, non è possibile vincere.

Per uscirne vivi, è dunque necessario cambiare i presupposti stessi, della partita. Come acutamente osservato da Guido Viale oggi, sulle pagine de il Manifesto, «nell'immediato, un maggior impegno del fondo salvastati, o del Fmi, o gli eurobond, o il coinvolgimento della Bce nell'acquisto di una parte dei debiti pubblici europei potrebbe allentare le tensioni. Ma sul lungo periodo è l'intera bolla che va in qualche modo sgonfiata».

Per questo sono da favorire iniziative come quella lanciata da un gran numero di economisti, giornalisti e sociologi francesi, che invitano a «dire la nostra nel quadro di un ampio dibattito democratico che deciderà del nostro avvenire comune. In fin dei conti, siamo dei giocattoli nelle mani degli azionisti, degli speculatori e dei creditori, oppure cittadini, capaci di deliberare insieme sul nostro avvenire?».

Per fa questo lanciano la proposta della creazione di una commissione di «audit (un inventario) del debito italiano (e non solo, ndr), perché tutti possano capire come si è formato, chi ne ha beneficiato e chi lo detiene (anche per poter prospettare trattamenti diversi alle diverse categorie di prestatori)» - come riassunto ancora da Viale.

Umberto Eco, in un'intervista al Guardian sull'uscita del suo ultimo libro in terra britannica, scagliandosi contro «l'antica paranoia della grande cospirazione», ritiene che «la gente è stanca di cose semplici. Vuol essere sfidata a comprendere cose più complesse». Speriamo che abbia ragione, perché sarebbe finalmente una buona notizia.

Sebbene rimangano sincere perplessità sulla fattibilità tecnica dell'audit proposto, infatti, l'indirizzo suggerito è proprio quello di una riflessione meno superficiale, condivisa e comunicabile con chiarezza, che non dia l'impressione di offrire come scontata ed unica la via per la (non)crescita che il paradigma economico che l'Occidente si è cucito addosso, a cui adesso manca il prerequisito essenziale dello sviluppo comune e sostenibile, in seno ad uno spirito d'uguaglianza tra i cittadini presenti e futuri del pianeta.

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