[29/11/2011] News

Zuma alla Cop17 Unfccc: «Il clima č una questione di vita e di morte»

Il Basic ai Paesi sviluppati: «Vi ricordate gli impegni presi con la roadmap di Bali per il Protocollo di Kyoto?»

Aprendo ieri la diciassettesima  Conferenza delle parti dell'United Nations framework convention on climate change (Cop17 Unfccc) a Durban, il presidente del Sudafrica Jocob Zuma (Nella foto) ha detto che «Il clima è una questione di vita e di morte. Il cambiamento climatico presenta dei gravi rischi per l'umanità, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo»

Secondo Zuma, «Il cambiamento climatico è un impegno globale dello sviluppo sostenibile e non deve essere trattato semplicemente come una sfida ambientale. L'Africa è più vulnerabile  a causa della povertà che limita la capacità della maggior parte dei Paesi africani a far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici e la produzione agricola in numerosi Paesi africani dovrebbe diminuire di circa il 50% nel 2050 e questo provocherà gravi penurie alimentari». Il presidente sudafricano ha ricordato che «Una grave siccità in Somalia non ha fatto che esacerbare una regione già instabile, provocando lo spostamento delle popolazioni ed aumentando le comunità  dei rifugiati in Kenya. Data l'urgenza, gli Stati Parti devono sforzarsi di trovare delle soluzioni, qui a Durban».

Il ministro dell'ambiente sudafricano Maite Nkoana-Mashabane (nella foto), ha sottolineato che «L'adattamento al cambiamento climatico è  un elemento essenziale del risultato della Cop17. Il Green limate found rappresenta la chiave di volta di una serie più vasta di risultati per Durban. I Paesi in via di sviluppo chiedono l'avvio rapido di questi fondi».

La segretaria esecutiva dell'Unfccc, Christiana Figueres, ha risposto alle sollecitazioni sudafricane: «Il processo deve prendere due misure decisive qui a Durban: terminare le missioni della Cop16 e rispondere a questioni politiche importanti che sono rimaste senza risposta a Cancun. Terminare  la missione di Cancun significa tradurre la politica in azione concreta».

Alla conferenza Unfccc di Durban si sono registrate 11.810 persone e saranno presenti Capi di Stato e di governo, ministri, alti rappresentanti dell'Onu, Ong di tutto il mondo e una folta schiera di giornalisti. Ma a quanto pare ai sudafricani non piace il clima che si respira intorno alla Cop17 Unfccc, segnato da profonde divergenze tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, dei quali l'emergente potenza sudafricana si sente pienamente parte.

A preoccupare sono soprattutto la fine del primo periodo di impegno del Protocollo di  Kyoto nel 2012 ed il suo possibile prolungamento. Tra i Paesi del Basic (Brasile Sudafrica, Cina ed India) che si presentano compatti a Durban, circola il sospetto che le differenti posizioni dei Paesi ricchi puntino a far comunque saltare il Protocollo di Kyoto.

L'Unione europea dice che potrebbe accettare un prolungamento di Kyoto solo se Usa e Cina assumessero seri impegni di forti riduzioni delle loro emissioni di gas serra; gli Usa rispondono che non firmeranno mai il Protocollo di Kyoto e tantomeno un suo prolungamento e chiedono un patto che imponga vincoli di emissioni alle economie emergenti, a partire da Cina ed India; Giappone e Russia dicono che non approveranno un secondo periodo per Kyoto e ieri il Canada ha detto di considerare il Protocollo già defunto.

Su Wei, il capo delegazione aggiunto della Cina, parlando a nome del Basic, ha ribadito  che «Il Protocollo di Kyoto è la pietra angolare del regime di gestione dei problemi climatici ed il secondo periodo di impegno è la priorità essenziale per la Conferenza dio Durban. Siamo favorevoli ad un'estensione del Protocollo. Ripetiamo che è difficilmente concepibile che un Paese lasci il Protocollo di Kyoto per fare di più. Dato che le Parti lavorano sotto il mandato della roadmap di Bali per accordarsi su un secondo periodo di impegno all'interno del Protocollo di Kyoto e per permetterne l'applicazione integrale, la messa in opera effettiva ed il sostegno alla Convenzione per azioni di cooperazione a lungo termine, entro ed oltre il 2012, noi riaffermiamo la necessità di concentrarsi su questo mandato».

Insomma, i paletti ci sono e i Paesi ricchi (meno gli Usa) che li avevano accettati ora non vorrebbero più rispettarli. Infatti, Su ha sottolineato che «Il proseguimento del meccanismo di flessibilità del Protocollo di Kyoto è subordinato allo stabilimento di impegni quantificati di riduzione delle emissioni da parte dei Paesi sviluppati all'interno del secondo periodo di impegno. Noi siamo aperti ad un contributo costruttivo con le Parti che sono pronte ed entrare nel secondo periodo di impegno. Noi sottolineiamo la necessità di applicare le decisioni di Cancun per rispondere alle questioni non risolte della roadmap di Bali. Il risultato di Durban dovrebbe attuare la roadmap di Bali, dove le arti dei Paesi sviluppati che non sono Parti del  Protocollo di Kyoto (gli Usa, ndr), dovrebbero intraprendere impegni comparabili e quantificati per la riduzione delle emissioni provenienti dalla Convenzione e le Parti dei Paesi in via di sviluppo dovrebbero mettere in opera delle azioni di attenuazione rafforzate nel contesto dello sviluppo sostenibile».

Sulla questione c'è stato anche un intervento politicamente molto pesante: quello dell'African national council  (Anc) il partito al potere in Sudafrica che ha chiesto ai Pesi sviluppati di «Assumersi una maggiore responsabilità perché ci siano delle misure destinate a frenare il cambiamento climatico».

Il segretario generale dell'Anc, Gwede Mantashe, ha detto a Durban che «Le economie sviluppate rappresentano la maggioranza delle emissioni mondiali di gas serra, mentre i Paesi in via di sviluppo devono ancora cercare l'equilibrio tra i loro bisogni di sviluppo e la necessità di ridurre le emissioni causate dalle loro popolazioni».

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