[28/11/2011] News

La veritą pił scomoda di tutte. Survival, Durban, il Redd ed i "primi scienziati del mondo"

Attraverso il dossier "La verità più scomoda di tutte - Cambiamenti climatici e popoli indigeni", Survival International rivolge un polemico benvenuto ai partecipanti alla Conferenza delle parti dell'United Nations framework convention on climate change (Cop 17 Unfccc) e chiede di «tenere in considerazione le conoscenze e le intuizioni dei popoli tribali in qualunque decisione possa essere presa per mitigare il problema dei cambiamenti climatici».

Survival dice che «I cambiamenti climatici hanno già avuto un sensibile impatto sui popoli indigeni di ogni continente, dall'Artico alle Ande all'Amazzonia, dalle isole dell'Oceano Pacifico alle coste canadesi. Altrettanto significativo, ma poco riconosciuto, è l'impatto che le misure adottate per fermare i cambiamenti climatici stanno avendo, o potrebbero avere, sui popoli indigeni. Spesso, queste "misure di mitigazione" violano i loro diritti e facilitano la rivendicazione, lo sfruttamento e, in alcuni casi, anche la distruzione delle loro terre da parte di governi e compagnie, con gli stessi effetti devastanti dei cambiamenti climatici». Quale è "la verità più scomoda di tutte"? «Quella che i popoli indigeni del mondo, che pur essendo coloro che hanno contribuito di meno ad alimentare i cambiamenti climatici ne sono tuttavia i popoli più colpiti, oggi si vedono anche violare i loro diritti e devastare le loro terre nel nome della lotta per fermarli».

Dopo aver preso in considerazione l'impatto sui popoli autoctoni di biocarburanti, energia idroelettrica e conservazione delle foreste, il rapporto affronta la spinosa questione del carbon market e dei diritti violati dei popoli indigeni.

«Nel tentativo di frenare la deforestazione nel mondo - scrive Survival - sono stati concepiti vari schemi complessivamente conosciuti come Redd, ovvero "Ridotte Emissioni da Deforestazione e Degrado delle foreste". (...) Il principio base dei Redd è quello di incoraggiare i Paesi "in via di sviluppo" a proteggere le loro foreste grazie a fondi stanziati dai Paesi "sviluppati". Uno dei meccanismi di attuazione prevede la trasformazione del carbonio stivato nelle foreste in "crediti" che i Paesi "sviluppati" possono poi comprare per bilanciare le loro emissioni».

Ma secondo i popoli indigeni, «Il mercato delle quote del carbonio rischia di far attribuire un valore monetario enorme alle loro foreste scatenando la corsa all'accaparramento delle loro terre. Un'ampia parte delle foreste del mondo passibili di essere inserite negli schemi Redd, infatti, è territorio tradizionale indigeno».

Il Forum internazionale dei popoli indigeni sui cambiamenti climatici (Ifipcc) è convinto che «I Redd faranno aumentare le violazioni dei nostri diritti umani e territoriali, nonché il furto delle nostre terre; provocheranno sfratti forzati, ci impediranno l'accesso alle nostre terre, minacceranno le nostre pratiche agricole, distruggeranno la biodiversità e la diversità culturale, e causeranno conflitti sociali. Se non saranno garantiti il pieno riconoscimento e la piena tutela dei diritti dei popoli indigeni, inclusi quelli alle risorse, alla terra e ai territori; e se non verrà riconosciuto e rispettato il nostro diritto al libero, informato e prioritario consenso, ci opporremo agli schemi Redd».

Survival è d'accordo: «In effetti, i meccanismi del Redd potrebbero minare o ostacolare enormemente il riconoscimento dei diritti alla terra dei popoli indigeni, o anche solo giustificarne il mancato rispetto. Qualora non dovessero comportare sfratti veri e propri, i Redd potrebbero compromettere l'uso tradizionale della terra da parte degli indigeni o limitare il loro accesso alle risorse naturali del territorio. Al momento non è chiaro se i Redd riconosceranno mai i diritti indigeni. Stando ai rapporti, i progetti legati al carbonio effettuati nelle terre indigene sono già stati causa di sofferenza per molte tribù. Ad essere incriminati sono i progetti "volontari", concepiti al di fuori della Unfccc, responsabili di aver sfrattato i popoli indigeni dalle loro dimore ancestrali, di aver distrutto villaggi e risorse, di aver provocato violenti conflitti, persecuzioni, feriti e anche molte morti».

Il rapporto dell'Ong sottolinea che i popoli tribali avendo praticato per millenni stili di vita sostenibili, dall'Amazzonia all'Artico, «Vantano l'impronta ecologica minore, ma sono anche più vulnerabili ai cambiamenti climatici di chiunque altro, e soffrono le conseguenze di misure di mitigazione come i biocarburanti, le dighe idroelettriche e i progetti di conservazione. La maggior parte dei popoli indigeni ha sviluppato un'intima conoscenza del proprio ambiente, ed è in grado di cogliere anche i più piccoli segnali di cambiamento degli ecosistemi».

Anche secondo il direttore generale di Survival International, Stephen Corry, «I popoli tribali sono i primi scienziati del mondo. È evidente: dove hanno potuto continuare a vivere nelle loro terre, il manto delle foreste e la biodiversità possono essere addirittura superiori che in altri tipi di aree protette. E senza i loro saperi ecologici, forse molte medicine vitali per l'uomo non sarebbero mai state scoperte. Oggi è vitale per tutti noi che le loro conoscenze e le loro visioni siano legittimate. I popoli tribali dovrebbero poter giocare un ruolo molto più grande nei processi politici decisionali che mirano a mitigare i cambiamenti climatici, e dovrebbe essergli pienamente riconosciuto il diritto alla proprietà collettiva delle loro terre».

Tra le tante osservazioni dei popoli indigeni Survival ne evidenzia alcune: «I cacciatori inuit del Canada nord occidentale segnalano strati di ghiaccio più sottili, inverni più corti seguiti da estati più calde, modificazioni del permagelo e innalzamento del livello del mare; Gli innu del Canada nord orientale hanno avvistato nel Labrador settentrionale degli uccelli che solitamente si trovano solo negli Usa o nel Canada meridionale, come la ghiandaia azzurra, e hanno misurato minori precipitazioni nevose durante i mesi più freddi e meno zanzare durante l'estate: I pastori di renne nenet della Siberia segnalano che i fiumi ghiacciati si sciolgono prima del tempo, ostacolando la migrazione primaverile delle renne, che sono costrette a nuotare invece che camminare sul ghiaccio. Anche le zanzare sono diminuite; I pastori di renne Tsaatan della Mongolia lamentano ripercussioni negative sulla crescita dei licheni e del muschio che alimenta le loro mandrie. Gli yanomami dell'Amazzonia brasiliana sono allarmati per le alterazioni delle piogge nella foresta e raccomandano al mondo di riconoscere il ruolo vitale che l'Amazzonia svolge nella regolazione del clima del pianeta, e l'impatto che la deforestazione ha sul riscaldamento globale».

Davi Kopenawa, portavoce degli yanomami spiega: «Nel nostro paese, i cambiamenti climatici sono iniziati I paesi ricchi hanno bruciato e distrutto molti chilometri di foresta amazzonica. Se abbattete i grandi alberi e date la foresta alle fiamme, la terra si inaridirà. Il mondo deve ascoltare il pianto della terra, che sta chiedendo aiuto».

E all'altro estremo del continente americano l'attivista inuit Sheila Watt-Cloutier sottolinea che «I cacciatori sprofondano nel ghiaccio e perdono la vita in luoghi considerati da sempre sicuri. L'Artico è considerato il barometro della salute del pianeta. Se volete sapere come sta il pianeta, venite a sentire il suo polso qui, nell'Artico».

Torna all'archivio