[28/11/2011] News

L'empasse politico ed ecologico dell'Europa? Lo spiega la neuroeconomia

La parola d'ordine sui mercati - finanziari, in particolare - è una soltanto: incertezza totale. Incertezza che porta a sviluppi spesso imprevedibili, il saliscendi delle borse, sui quali veniamo ormai informati continuamente, in una sorta di asettico bollettino di guerra. Il castello di carte dell'economia finanziaria, i cui volumi surclassano ormai quelli della cosiddetta "economia reale", rischia di crollare e trascinare con se le società tra loro interconnesse ai quattro angoli del pianeta, in un brusco tonfo: il paradosso dello strumento umano sfuggito alla presa del suo ideatore.

In realtà, e per fortuna, la sottospecie oeconomicus - l'essere totalmente (ed esclusivamente) razionale che si muove all'interno di ogni relazione-scambio, orientato alla massimizzazione della propria utilità (tradotta in pecunia) individuale - non hai mai visto la luce nella specie sapiens. L'individuo totalmente razionale non esiste affatto, in dispetto a numerose ed acclamate bibbie del mondo economico, che hanno contribuito a tratteggiare i lineamenti di un mondo popolato da macchine e calcolatori, ma che rimane racchiuso all'interno di pure speculazioni concettuali.

A confermare quel che il buonsenso da sempre suggerisce, a offrire il sempre cercato conforto di dati empirici sono le neuroscienze, che stanno trasformando la nostra comprensione dell'economia. 

Sebbene questa branca multidisciplinare del sapere debba ancora aprirsi un proprio spazio in territorio italiano - escludendo avamposti come quello del Cresa di Milano, di cui greenreport.it si è più volte occupato - non si tratta di teorie di primissimo pelo. Già negli anni '50 alcuni studiosi iniziarono a mettere in dubbio i paradigmi (ancora oggi fortemente dominanti) dell'economia neoclassica, per poi raggiungere una svolta a fine anni '70 con le ricerche di Kahneman e Tversky che, partendo dai presupposti sulla razionalità limitata portati dal già premio Nobel per l'economia Herbert Simon, fruttarono allo stesso Kahneman l'attribuzione della medesima onorificenza: notevole da sottolineare come sia Simon che Kahneman siano nati come psicologi.

Da allora la ricerca sul terreno della neuroeconomia è proseguita di gran carriera, portando evidenze su evidenze a conferma del ruolo fondamentale svolto dalle emozioni e dai cosiddetti behavioral biases, i comportamenti irrazionali dei soggetti economici (che poi si traducono in persone in carne ed ossa), dovuti a bias cognitivi ed euristiche di giudizio: ovvero, non avendo né la possibilità di ricevere uno spettro informativo completo sul mondo circostante né la capacità di elaborarlo, gli individui basano le loro mosse e fondano i loro giudizi in modo tutt'altro che freddamente razionale, ma profondamente influenzate da sensazioni ed azzardo.

Se ci si domanda perché, di fronte a scenari macro fortemente preoccupanti, che nella cronaca parlano con insistenza di un possibile disgregamento di eurolandia (se non della stessa Unione europea) - ma ancor più nel caso di prospettive apocalittiche, come quelle potenzialmente dipinte da un drastico ed incontrollato cambiamento climatico globale - i leader mondiali ed i cittadini del mondo non decidano di fare tutto quanto è in loro potere per frenare la loro corsa prima di cadere in un precipizio, la neuroeconomia può essere dunque un valido, benché parziale, lumicino.

Lo stesso direttore del Cresa, Matteo Motterlini, in una recente intervista sul Corriere della Sera constata come all'interno di un'incertezza totale, la portata degli eventi esuli dalla capacità di calcolare rischi e probabilità. Sottolineando poi come serva «molta responsabilità da parte della politica nel non sfruttare in senso demagogico il fortissimo senso di insicurezza della popolazione facendo appello all' irrazionalità: nel Novecento ha portato ai totalitarismi. A livello del singolo invece è meglio non seguire le notizie minuto per minuto: la notizia sollecita solo ansia e incertezza, sovraeccita, anestetizzando la possibilità di esprimere un giudizio››.

È necessario prendere coscienza di come la natura umana sia generalmente risk lover in caso di perdite presunte, e di risk averse in caso di guadagni sperati, come sottolineato dalla teoria dei prospetti dei già citati Kahneman e Tversky: se un minore guadagno certo è preferito ad uno maggiore ma incerto, si preferisce piuttosto rischiare una perdita maggiore incerta rispetto ad una più moderata ma certa.

Questo circolo vizioso è lo stesso che probabilmente intrappola la Merkel e l'elettorato tedesco, che ancora frenano per le riforme necessarie all'Unione col timore di rimetterci, tanto quanto ingabbiano i rappresentanti di più di 190 Paesi da oggi riuniti a Durban per dare un futuro alla lotta contro il cambiamento climatico: i risultati che si spera partorirà la 17a Conferenza delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione Onu sui cambiamenti climatici sono molti, ma il rischio di un aborto è invece la realtà più concreta.

Siamo ancora in tempo, sia per salvare l'Unione europea che per adattarsi e mitigare il cambiamento climatico, come per progettare ed intraprendere la triplice strada (economica, ecologica e sociale) della sostenibilità. Le euristiche di giudizio fanno però parte della nostra natura umana, e dobbiamo imparare a conviverci, oltre che capirle: ma è proprio sulla nostra umanità che è possibile e necessario far leva per sfuggire alla trappola da noi stessa creata di un'artificiosa, falsa ed egoista ultrarazionalità votata elusivamente all'interesse economico di molteplici ed atomizzati "io", tanti piccoli Nerone che continuano a suonare la cetra, quando nel frattempo la loro città brucia.

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