[25/11/2011] News

Brutto clima a Durban

Steiner «Rinviare un accordo al 2020 scelta politica non basata sulla scienza»

La Conferenza delle parti dell'United Nations framework convention on climate change (Cop17 Unfccc) si avvicina in un clima di frustrazione crescente, una situazione precipitata ad ottobre quando, dopo mesi di trattative tese, i Paesi in via di sviluppo sembravano essere riusciti a sbloccare il Green Fund multi-miliardario per l'adattamento ai cambiamenti climatici, ma all'ultimo momento Arabia Saudita e Stati Uniti hanno ritirato il loro sostegno, facendo crollare il fragile edificio costruito nel 2010 alla Cop16 di Cancun.

La rabbia ed il risentimento dei Paesi poveri sono ulteriormente cresciute la settimana scorsa, quando diversi media, da The Guardian, hanno rivelato un accordo tra i Paesi ricchi per accantonare i piani su un accordo globale sul clima per i prossimi anni e per spingere a Durban per un accordo da raggiungere alla fine del 2015 o nel 2016 e che entrerebbe in vigore solo nel 2020. Non solo si rinvierebbe tutto a quando gli accordi precedenti prevedevano di aver già effettuato un sostanzioso taglio dei gas serra, ma si ignorerebbero del tutto gli avvertimenti degli scienziati e di molti economisti di un rischio di catastrofe globale irreversibile  se non si agisce subito per contrastare il cambiamento climatico.

Presentando a Londra il rapporto "Brinding the Emission Gap", che dimostra che è possibile raggiungere i target previsti per il 2020 con le tecnologie attuali, Il direttore esecutivo del Programma Onu per l'ambiente (Unep), Achim Steiner, ha detto che «Rinviare un accordo, che avrebbe dovuto essere firmato nel 2013,  alla fine di questo decennio è una scelta politica, piuttosto che una scelta basata sulla scienza».

Jorge Arguello, presidente del G77+Cina, la coalizione di 131 paesi in via di sviluppo ed emergenti, ha avvertito: «Siamo fiduciosi di vedere a Durban un trattamento equo e paritario di tutte le questioni che sono importanti per tutte le parti. Un grave squilibrio nel progresso dei vari temi, potrebbe chiaramente non essere favorevole a un risultato positivo, globale ed equilibrato».

In un meeting per preparare la Cop17 di Durban i  leader africani hanno approvato una dura dichiarazione che tra l'atro dice: «Il processo del cambiamento climatico è troppo cruciale per la sopravvivenza dell'umanità e la dignità di ognuno di noi ed è triste vedere alcune Parti utilizzarlo come un giocattolo in un programma promozionale. Durban non deve diventare la tomba del Protocollo di Kyoto e ne sosteniamo completamente le ambizioni».

Steiner ha definito «Ad altissimo rischio» i piani dei Paesi ricchi per mettere fuori gioco fino al 2020  un trattato globale sul clima, «I paesi che attualmente parlano di rinviare un accordo al 2020 stanno essenzialmente dicendo che stiamo passando da un rischio elevato ad un rischio molto elevato in termini di effetti del riscaldamento globale. Questa è una scelta: una scelta politica. Il nostro ruolo, lavorando con la comunità scientifica, è quello di portare all'attenzione dell'i opinione pubblica mondiale che questo è il rischio al quale ci espongono i politici ed i governi».

Parole inusualmente dure per un uomo che ha sempre dimostrato moderazione ed equilibrio nei rapporti con i governi, ma confermate dal Chief scientist dell'Unep, Joseph Alcamo, che ha evidenziato i potenziali pericoli di rimandare un accordo operativo fino al 2020: «Ogni anno diventa più difficile mantenersi all'interno dei 2 gradi centigradi di riscaldamento sopra livelli pre-industriali, il limite di sicurezza, secondo gli scienziati, oltre il quale il cambiamento climatico diventa catastrofico e irreversibile. Ogni anno, costruiamo più centrali elettriche, ogni anno costruiamo più edifici che non sono efficienti. Ogni anno le nostre opzioni per evitare cambiamenti climatici ottengono  sempre meno. Il gap può essere colmato, ma nel corso degli ultimi anni il divario è aumentato piuttosto che diminuito».

Sheik Hasina, il premier del Bangladesh, uno dei Paesi più colpiti dagli effetti del global warming, ha sottolineato che «Il cambiamento climatico ha causato oltre 300.000 morti in più l'anno scorso. Noi Paesi vulnerabili soffriamo di più per le nostre limitate coping capacities. Il Bangladesh e gli altri Paesi vulnerabili non possono aspettare ancora una risposta internazionale alle cause climatiche... bisogna implementare i 134 piani di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico».

Niklas Hoehne, dell'agenzia di consulenze Ecofys, ha spiegato: «quello che è importante è che l'effetto è cumulativo. Più aspettiamo, più dobbiamo fare, e dovremo fare molto meno se lo facciamo prima del 2020, le maggiori riduzioni che dovremo fare dopo il 2020, più a lungo aspettiamo, più costose diventano».

Steiner a Londra è stato molto duro anche con gli ambienti politico-economici che dicono che non è necessario un accordo globale sul clima, perché le industrie ed i governi possono ridurre le emissioni da soli, «Questo non accadrà. Il mondo non ha scelta, se non quella di raggiungere un accordo vincolante. Se non abbiamo un accordo globale, diventiamo prigionieri del mero interesse di paesi che vedono, nel fatto di agire o meno, solo la logica del vantaggio competitivo». Steiner ha sottolineato che il rapporto  "Brinding the Emission Gap" dimostra gli attuali impegni per ridurre le emissioni dei governi di tutto il mondo saranno inadeguati a mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi ed ha invitato i governi ad aumentare il loro impegni, «Per esempio accettando a Durban di spostarsi verso il livello più alto dei loro target di riduzione delle emissioni. Diversi paesi, tra cui la Cina e l'Unione europea, si sono impegnati ad una serie di obiettivi, alcuni di loro a seconda delle azioni degli altri Paesi».

Lord Nicholas Stern, presidente del Grantham research institute on climate change della London school of economics, ha detto che il rapporto Unep «Dimostra che impegni nazionali di riduzione delle emissioni entro il 2020, se pienamente raggiunti, porterebbero il mondo a circa la metà del cammino tra il "business as usual" ed un  percorso che ci darebbe una possibilità di evitare una possibilità 50-50 di global warming oltre i 2 gradi centigradi. Questo percorso richiede che le emissioni globali annue di gas serra raggiungano il picco entro i prossimi 10  anni e che poi si riducano bruscamente, al massimo alla metà dei livelli attuali, entro il 2050. Le emissioni sono aumentate nell'ultimo anno, in assenza di un accordo internazionale vincolante tra le principali economie del mondo. Bisogna agire urgentemente. Ora c'è il serio rischio che i Paesi che si blocchino sulle infrastrutture high-carbon, il che renderà più difficile e costoso ridurre le emissioni nei prossimi decenni». 

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