[23/11/2011] News

L’Europa ricordi e promuova il suo motto: unita nella diversità

L'Unione europea cammina ormai a braccetto con la crisi del debito pubblico, ed il principale argomento di dibattito rimane il solito: la crisi appunto, con il relativo e variegato arcobaleno di proposte per uscirne. Martin Wolf, una delle penne più apprezzate in ambito economics, ribadisce oggi la sua opinione sulle pagine del Sole 24 Ore (traduzione di un editoriale del Financial Times): completare l'unione politica rimane, per l'Europa, la via maestra per governare i suoi problemi interni ed al contempo apparire solida anche all'esterno, all'occhio dei mercati internazionali.

‹‹L'eurozona deve far fronte a tre sfide intrecciate fra loro - secondo l'illustrazione data da Wolf. La prima consiste nel gestire l'illiquidità dei mercati dei titoli di Stato. La seconda nell'invertire la tendenza alla divergenza dei tassi di competitività che si è registrata dal momento della creazione della moneta unica. La terza nel creare un sistema capace di garantire relazioni economiche meno instabili tra i suoi membri. Dietro quest'elenco c'è un semplice punto: per avere fiducia nel futuro dell'euro, la gente deve essere convinta che stare dentro frutti più vantaggi che stare fuori [...] Ma nulla di tutto questo sarebbe accettabile in un contesto democratico senza un progresso sostanziale verso un'unione politica››.

Questa convinzione, però, i cittadini europei potranno maturarla definitivamente solo alla prova dei fatti, che al momento non li convincono. Complice la crisi, l'ascesa in Europa di partiti populisti, ultraconservatori e antieuropeisti testimonia il tono del sentimento che serpeggia sempre più violento all'interno di più Stati membri: quello di un'Unione vista come un'istituzione lontana ed ingerente, più tecnica che democratica. L'euro, in particolare, nel comune sentire è più una zavorra che non un vantaggio, sia nei Paesi periferici in crisi che nei cosiddetti "virtuosi", che vi individuano il principale lacciuolo che li obbliga a pagare per tutti.

Quel che essenzialmente è venuto a sbiadire, nel processo di unificazione europea, è la condivisione di un progetto politico comune, di orizzonti a cui tendere e che valorizzino quell'unità culturale e sociale che permea i territori europei e ne faccia il fondamento per costruire un'idea positiva di sviluppo, fondendo il meglio delle realtà dei singoli Paesi senza strozzarne le identità individuali. Democrazia e stato sociale rimangono i comun denominatori dell'Europa, e da questi è necessario ripartire, associati ad un rilancio dell'economia su basi giocoforza sostenibili, all'interno di binari per la riduzione delle disuguaglianze finora crescenti. 

Questi tre pilastri sono riassumibili, appunto, nel concetto di sostenibilità, economica, ecologica e sociale, il cui insieme offre un orizzonte credibile da perseguire per i cittadini europei, e su cui è necessario riuscire a concentrare gli sforzi politici. Entreremmo in una sorta di circolo virtuoso: un'effettiva unione politica ed economica, tramite strumenti specifici (ad esempio, euro project bond dedicati) a sua volta riuscirebbe a concentrare le risorse e gli intenti sparsi nel Vecchio continente e seguire il vettore della sostenibilità. Un rilancio dell'Europa come laboratorio, quindi, per il presente/futuro dell'economia ecologica a livello mondiale.

Frenare finanza e speculazione rimane un imperativo, decelerando la corsa dei mercati abbastanza da permettere alla politica di regolarli e ripristinare l'ordine naturale che vuole uno strumento al servizio, e non al comando, di chi vorrebbe usarlo. Considerati i tempi comunque fisiologici che permetterebbero all'Europa di cambiare pelle, lasciandosi alle spalle un'ancora viva frammentazione interna per fare posto ad un'unità effettiva, il percorso di riforma politico deve andare di pari passo con quello economico.

Di avviso contrario è Antonio Puri Purini che oggi, in un articolo del Corriere della Sera, ritiene possibile ‹‹cambiare registro a condizione che i governanti si astengano dal sollevare argomenti prematuri (gli eurobond) o problematici (il ruolo della Bce) e completino, sul piano istituzionale e politico, le misure specifiche per risolvere la crisi dell'Eurozona››; al contempo, le conclusioni finali rimangono totalmente condivisibili, quando Purini scrive che ‹‹ne uscirà vincente non un'Europa tedesca ma un'Europa concorde e maggiormente integrata››.

La prima a doversene rendere conto è proprio la Germania, con la Merkel che, anche oggi, in un intervento al Bundestag ribadisce come ritenga come ‹‹straordinariamente riduttivo il fatto che la Commissione UE suggerisca gli Eurobond. Con la socializzazione del debito non si risolve il problema››. Se davvero ritiene, come lei stessa ha asserito, che ‹‹la Germania e il futuro dell'Europa sono inseparabili››, l'Europa intera spera di non dover ricordare lo stato teutonico come quello che l'ha trascinata prematuramente alla fine della sua storia.

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