[21/11/2011] News

Il sanguinoso autunno della primavera araba ed Occupy Wall Street

Mentre nessuno sa davvero quanti siano i morti ed i feriti in piazza Tahrir al Cairo, la primavera araba sembra sprofondare nella reazione del vero potere che sosteneva e sostiene le dittature. In Egitto la disperata rivolta dei giovani si scontra con la metastasi creata dal nazionalismo arabo, col  fascismo militare che, appoggiato da occidentali e sovietici, ha avvolto in un ferreo bozzolo protettivo di carri armati, aerei, baionette e manganelli i regimi eterni messi a difesa del gas e del petrolio e delle loro fragili rotte.

La reazione antidemocratica non è al lavoro solo in Siria, dove i manutengoli del regime della dinastia nazional-socialista degli Assad, appoggiata da russi, cinesi ed iraniani, massacra l'opposizione e assalta le ambasciate, ma anche nel filo-occidentale Yemen dove l'esercito di Saleh tiene in ostaggio un intero Paese e in Kuwait, la cui liberazione costò all'occidente la prima guerra del Golfo, dove una monarchia assoluta mascherata da democrazia rifiuta di far dimettere il primo ministro Nasser Mohammad al Ahmad Al Sabah accusato di aver utilizzato fondi pubblici a fini personali. L'emiro, che può disporre come vuole del Parlamento, ha detto: «Noi difendiamo la Costituzione, mentre l'opposizione la deforma». Una strana costituzione, visto che Al Sabah, nominato premier nel 2006, è rimasto al suo posto nonostante i ripetuti voti di sfiducia e che gli oppositori esasperati abbiano assalito il Parlamento di Kuwait City nella notte tra il  16 e il 17 novembre.

E' in questo doppio binario, in questa promessa di democrazia ridiventata regime, in questa sorda difesa degli equilibri del petrolio e delle alleanze con regimi inguardabili fatti passare per moderati solo perché cani da guardia degli interessi energetici e della geopolitica delle potenze, che riesplode la rivolta del Cairo alla vigilia di elezioni sulle quali i militari hanno già messo il cappello ipotecando il controllo del governo futuro e facendosi garanti dell'eterno potere, dalla monarchia a Nasser, da Sadat a Mubarak ai Fratelli Musulmani.

Le rivoluzioni democratiche sembrano tradite, affogate nel sangue, nella risorgente protervia che chiede ubbidienza dopo la festa, nei manganelli al lavoro a New York come in Kuwait, nella volontà di tenere lontano dal potere vero il 99% che comincia a capire, nelle piazze insanguinate mediorientali e in quelle sgombrate con lo spray al peperoncino in America, che la democrazia non è solo la concessione di un voto ma è pratica dolorosa per chiedere quotidianamente di essere protagonisti, per uscire dall'incantamento del neo-liberismo che in Medio Oriente si regge sulle baionette e in Occidente sulla colonne di Wall Street, in un sistema globale terrorizzato dai propri scricchiolii e che teme che dai confusi e magnifici ragazzi che agitano il mondo possa nascere un seme di reale alternativa.

Che a New York e in Europa tutto finisca con qualche disordine e le manette di plastica ad un movimento pacifista solo sfigurato dalle violenze dei black block è un'ingiustizia che però parla di spazi democratici ancora percorribili, nonostante l'ottusità del potere; che in Piazza Tahrir la rivoluzione democratica dei gelsomini sia soffocata con l'assassinio e i blindati, con il puzzo dei lacrimogeni e la violenza poliziesca, è la dimostrazione di quanto sia grande il nostro debito verso quei ragazzi e quelle ragazze velate che gridano al mondo l'insopportabile ingiustizia che è anche nostra e che sembrano aver compresa gli altri ragazzi che si baciano liberi sotto le tende di Occupy Wall Stret, nelle fredde piazze dell'occidente dell'iper-capitalismo in bancarotta e che finalmente prova vergogna per il dolore che ha fatto scorrere nelle vene del mondo.    

Speriamo solo che la reazione ferocemente al lavoro nel mondo arabo non ci contagi, riducendo in nome della crisi gli spazi di democrazia. Il crinale della crisi finanziaria, ambientale e delle risorse si sta facendo sempre più pericoloso per la democrazia ed i modelli che ci vengono proposti prevedono dirigismo liberista e governi forti, con una sorta di tentazione "cinese" globale. E' quello che confusamente hanno capito i giovani del Cairo e di Okland, di Trieste e di Madrid, una confusione molto più lucida dello status quo della politica tradizionale che, prigioniera di sé stessa, imprigiona il futuro, sparando ad altezza d'uomo in piazza Tahrir o consegnandosi inerme alle urne in Spagna. 

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