[16/11/2011] News

La marea nera brasiliana e le bugie internazionali delle Big Oil sulle trivellazioni in mare profondo

La marea nera  al largo delle coste brasiliane ha fatto riemergere il nero fantasma del disastro della Deepwater Horizon su scala planetaria e le preoccupazioni sul ruolo svolto dalle grandi multinazionali petrolifere a livello mondiale, anche nei rapporti con i governi. Leandra Gonçalves, responsabile della campagna energia di Greenpeace Brasil, sottolinea che  «Dopo essere stata accusata di danni ambientali e violazioni dei diritti umani per sversamento di petrolio in Equador, finanziamento del terrorismo in Angola, violazione del Clan air act negli Usa e distruzione delle foreste in Bangladesh, la multinazionale  petrolifera nordamericana Chevron imprime ora il suo marchio caratteristico in Brasile. E' la protagonista del primo sversamento in alto mare del Paese, che sta avvenendo nella Bacia de Campos, nel litorale fluminense». L'8 novembre una perforazione in acque profonde (Sedco 706) attuata dal gigante petrolifero Usa Chevron a 1.150 metri di profondità avrebbe causato una frattura nelle rocce circostanti, aprendo crepe sul fondale marino dalle quali il greggio ha cominciato a fluire nell'oceano atlantico. La multinazionale non ha reso noto l'incidente e la storiaccia è venuta a galla solo il  10 novembre, quando l'Organizzazione non governativa SkYTruth ha pubblicato le foto di una chiazza di petrolio estesa per  35 miglia sulla superficie dell'oceano Atlantico.

La Gonçalves rivela i retroscena di  questo ennesimo disastro delle Big Oil: «da una settimana stanno tentando di controllare l'incidente, la Chevron è stata soccorsa da altre imprese petrolifere, ma non possiede l'equipaggiamento necessario per gestirlo. Intanto,  non ha dato alla popolazione un'informazione chiara sul caso e sulle sue possibili conseguenze. L'Agência nacional de petróleo (Anp), che dovrebbe controllare le operazioni petrolifere in Brasile, non aveva nemmeno notato lo sversamento nel suo sito. Nella notte di venerdi, l'impresa calcolava che 60 barili di petrolio avessero raggiunto la superficie. Già sabato l'impresa informava che lo sversamento si aggirava tra i 400 e i 650 barili. Vale a dire che, in 24 ore, uno sversamento che era considerato "piccolo" era cresciuto più di 10 volte. La Chevron afferma che la causa sarebbe una "falla naturale" nella superficie del fondale marino, ma questa stessa falla non appariva nello studio di impatto ambientale del campo petrolifero di Frade». La Chevron ha mantenuto, contro tutte le evidenze, la tesi della "falla naturale " fino al 14 novembre, fino a quando le prove del contrario non sono state così schiaccianti da consigliarle di cambiare strada.  Ora la Chevron è sotto pressione per fare chiarezza sulla reale quantità di petrolio sversato, secondo la multinazionale sarebbe tra 27 e 45 tonnellate al  giorno, ma SkyTruth  calcola, in base alle dimensioni della marea nera, che sia 10 volte superiore: circa 512 tonnellate al giorno,  questo vuol dire che fino ad ora sarebbero finite nell'oceano Atlantico almeno 4.000 tonnellate di greggio pesante.  Proprio come ha fatto la Bp nel Golfo del Messico con la Deepwater Horizon la Chevron sta tentando di riempire il pozzo esploso con fango a pressione e cemento, ma il petrolio continua a fuoriuscire dalle fessure apertesi sul fondale dell'oceano.

Secondo l'esponente di Greenpeace Brasil, «Il governo brasiliano deve diventare ogni giorno più consapevole che si intensificherà il conflitto con le piattaforme offshore in mare profondo. Dobbiamo ridurre la dipendenza dai nostri combustibili fossili ed andare verso un futuro più rinnovabile. Ora più che mai, abbiamo bisogno di un accordo globale per la creazione di uno strumento legale che protegga gli oceani. A Rio+20, il prossimo anno, è la possibilità per il Brasile di garantire una protezione effettiva dei mari».

La marea nera brasiliana della Chevron dovrebbe preoccupare anche i Paesi del Me di terraneo, visto che tra i suoi progetti di trivellazioni in acque profonde ce ne sono alcuni anche nel  "Mar Nostrum ", preoccupa sicuramente Simon Boxer di Greenpeace New Zealand che sottolinea: «Lo sversamento di questa settimana nel primo test in Brasile di una perforazione petrolifera in acque profonde, ha dimostrato una cosa sopra ogni altra: proprio come non possiamo fidarci l'industria nucleare non ci si può fidare della parola delle Big Oil. Petrobras, la compagnia petrolifera brasiliana che intende estrarre petrolio fino a 3.100 metri sott'acqua al largo del East Cape della Nuova Zelanda, è parte proprietaria del giacimento a nord-est di Rio de Janeiro, in Brasile, dove si è verificato lo sversamento di petrolio».

I neozelandesi stanno ancora facendo i conti con il naufragio della portacontainer Rena che ha provocato una marea ne ra che è costata la vita ad almeno 20.000 uccelli marini nella Baia di Plenty e solo in  queste ore è cominciato lo sgombero dei container da bordo, che contengono anche sostanze molto pericolose.

«Questa è la realtà che la Nuova Zelanda si trova ad affrontare grazie all'ossessione del governo nazionale  per l'apertura di perforazioni petrolifere in acque profonde, non importa con quali rischi - dice Boxer - In effetti, mentre stiamo ancora ripulendo il petrolio dalla Rena arrivato abbondantemente sulla costa della Bay of Plenty, una nave per una nuova indagine sismica in acque profonde è arrivata a Taranaki per effettuare una ricerca su una vasta area al largo della costa di Raglan, a profondità fino a 1.800 metri. La compagnia che ha in programma di perforare in quest'area è il gigante petrolifero texano Anadarko,  proprietario di una parte della Deepwater Horizon, la piattaforma che è esplosa e affondata nel Golfo del Messico lo scorso anno, sversando 660.000 tonnellate di petrolio. L'Anadarko ha dichiarato che si aspetta di iniziare la perforazione in acque profonde al largo Raglan e Canterbury l'anno prossimo.

A meno che la pressione dell'opinione pubblica non porti il governo a fermare i piani di trivellazioni petrolifere in acque profonde, questa potrebbe benissimo essere l'ultima estate in cui i neozelandesi possono godersi il loro spiagge incontaminate e l'ambiente marino prima che il petrolio lasci la sua grande impronta disastrosa nel nostro giardino».

Torna all'archivio