[02/11/2011] News

Democrazia e mercato ultraliberista contrapposti al fronte dal referendum greco

Politica e finanza sempre pronte al corpo a corpo, in attesa di una ridefinizione delle priorità

"Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così": uno stralcio del celebre discorso di Pericle agli ateniesi, ormai abusato. Pronunciate nel 461 a.c., dopo dei millenni le parole che lo compongono mantengono intatta la loro attualità, e per questo vengono riproposte con costanza. Ricordano come proprio ad Atene si siano uditi i primi vagiti democratici, e come dopo dei millenni ancora non si possa parlare di una democrazia matura, ma piuttosto di un'utopia - nel senso nobile del termine - che si rinnova nel tempo.

La volontà di sottoporre a referendum il piano anticrisi imposto alla Grecia, espressa dal premier greco George Papandreou (Nella foto) ed appoggiata oggi all'unanimità dal governo ellenico, si è dimostrata una notizia a sorpresa che ha sparigliato le carte in tavola della crisi europea. Una sorta di deflagrazione che ha rimbombato soprattutto nelle orecchie francesi e tedesche, mandando in fibrillazione Sarkozy e Merkel che - senza ovviamente concertare le loro azioni con gli altri leader europei - hanno immediatamente deciso di anticipare l'apertura del G20 con una sorta di G2 europeo, in un pre-vertice a Cannes per discutere della rinnovata situazione col gotha delle istituzioni europee e dell'Fmi a confronto col discolo greco, Papandreou.

La possibilità del referendum acquista solidità, con la possibilità di concretizzarsi già a dicembre. Nonostante le rassicuranti dichiarazioni di facciata, la piccola Grecia preoccupa così sempre più i giganti europei, suscitando nervosismo unanime anche nei mercati, con gli indici delle principali borse mondiali che hanno subito un tracollo.

Indipendentemente dalle dinamiche interne alla politica greca che potrebbero aver pesato sulla svolta referendaria di Papandreou, resta il fatto che la mossa del premier greco ha il merito di mettere di fronte la democrazia con l'ideologia ultraliberista che domina i mercati, con la supremazia della prima che è continuamente surclassata e sembra cercare adesso la propria rivincita. Al momento, ciò che più salta all'occhio rimane quel fremito di paura, o comunque di profondo disagio, che sembra correre lungo le spine dorsali dei leader europei (e non solo, con Obama che chiede al Vecchio continente di "spiegare di più e applicare rapidamente le decisioni prese la settimana scorsa" in riferimento al piano per uscire dalla crisi).

«Il referendum fornirà un mandato chiaro, ma anche un messaggio chiaro all'interno e all'esterno della Grecia sul nostro impegno europeo e la nostra appartenenza all'euro». Parole di Papandreou, che aggiunge come «dobbiamo fare in modo che le cose siano chiare da tutti i punti di vista, e io dirò al G20 che si dovranno finalmente adottare delle politiche che garantiscano che la democrazia sia mantenuta al di sopra degli appetiti dei mercati». Non sono parole di un novello Pericle, ma dovrebbero rappresentare delle ovvietà per un leader della democratica Europa, anche se così non pare essere, dato il clima col quale sono state accolte.

L'Occidente, che porta sugli scudi la democrazia come l'emblema della sua civiltà, e si permette di indire guerre in giro per il mondo per esportare tale civiltà e tale democrazia, accoglie con fastidio e stupore la notizia di un referendum, quando questo tocca interessi cruciali. Certo è che una democrazia che pone di fronte dei cittadini disinformati ed impreparati davanti ad una scelta che si riduce a porre la croce su di un "si" o un "no", senza possibilità di condividere e partecipare alle scelte dei propri rappresentanti politici, non sia poi così democratica. Proprio questa democrazia zoppa, che rispecchia un'Europa altrettanto incompleta, genera mostri che sono sotto gli occhi di tutti, all'insegna di disuguaglianze crescenti che galoppano sulle ali della globalizzazione.

Una volta toccato il fondo, l'Unione non può accettare di impugnare la pala e cominciare a scavarsi la fossa con le proprie mani. Le ricette turboliberiste proposte da decenni da istituzioni come l'Fmi per superare le crisi cicliche che si abbattono sul modello capitalista, e che sono state storicamente applicate per provare a superare le stesse, non possono essere la soluzione: passano come Attila sopra economia e società, seccando diritti, democrazia e stato sociale in nome di privatizzazioni e deregulation, ed impendendo qualsiasi sviluppo ma, anzi, succhiando via le ultime risorse disponibili per metterle in mano agli avvoltoi di turno.

La Grecia, con questo referendum, rischia di abbandonare la moneta unica, forse l'Unione. In Italia siamo chiamati a guardare negli occhi gli sviluppi del paese ellenico, col detto "una faccia, una razza" che lega i nostri popoli e che torna in auge. La Grecia di adesso potrà purtroppo essere l'Italia del prossimo futuro. L'ombra del default è sempre più lunga, ma potrebbe rappresentare l'unica svolta possibile per risalire la china, se viene pilotato con criterio e non lasciato scoppiare; tanto vale cominciare a prendere già da ora in seria considerazione questa ipotesi, e cominciare a farlo in fretta.

L'Unione europea è un bene comune da tutelare e difendere, ma da rimodellare nelle istituzioni politiche che la guidano, in un'ottica di profonda sussidiarietà e solidarietà. Riscoprire le radici del welfare che un tempo caratterizzava il nostro continente è la priorità. Prendendo a prestito le parole del giurista ed ex-presidente Consob Guido Rossi, riportate oggi da un'intervista de la Repubblica, la disuguaglianza (all'interno ed all'esterno dell'Occidente) è oggi «una differenza insostenibile di redditi e di possibilità di costruirsi il futuro», in definitiva «il segnale di un sistema che ha raggiunto il suo limite e scopre l'inganno politico dell'ideologia del libero mercato come deregulation, che pose fine alla Golden age roosveltiana. La disuguaglianza l'ha prodotta la politica che, obbedendo alla finanza, ha creato il mostro che la divora. Si deve ripartire dal contenimento delle disuguaglianze per ricostruire una crescita sostenibile».

Il punto più buio della crisi è proprio il momento migliore per accendere la luce di nuove possibilità, da definire insieme: non si tratta di calamità naturali da affrontare, ma di paradigmi costruiti dall'uomo, e che l'uomo può e deve permettersi di cambiare, all'interno di un conflitto tra democrazia e mercato solo apparente, perché sbilanciato a favore di quest'ultimo a causa di linee di condotta puramente ideologiche. Quel che manca, allo stato delle cose, è soprattutto una presa di coscienza collettiva in merito.

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