[13/10/2011] News

La globalizzazione degli animi sfocia nella protesta del qui e ora. Appuntamento il 15 ottobre

Il 15 ottobre 2011 è prevista una marcia su Roma da parte di oltre 150mila ragazzi. Sfileranno in protesta e, armati di tende, renderanno tangibile il malcontento (per usare un eufemismo) che agita gli animi di fronte alla crisi causata da una finanza impazzita ed alle inadeguate risposte a questa da parte delle istituzioni. Da tutta Italia, movimenti studenteschi, sindacati, singoli indignados e associazioni di ogni sorta (ma tra quelle ambientaliste, solo Legambiente ha posto la sua firma sotto il Coordinamento 15 ottobre) faranno sentire la loro voce, formando la cellula italiana di quella che sarà una manifestazione internazionale. Più di 700 città in oltre 70 Paesi, per un vento di protesta che sebbene sia cominciato a soffiare in Europa lo scorso anno, è anch'esso ormai tanto globalizzato da appartenere ora a quello che potrebbe esser ancora chiamato Zeitgeist, lo spirito che anima il nostro tempo presente.

Il 15 maggio 2011, al grido di "Democracia real ya", il movimento degli indignados spagnoli ha iniziato a far sentire la sua voce; in migliaia sono presto scesi ad occupare le piazze iberiche, scandendo slogan per una democrazia più partecipata, e per richiamare l'attenzione sull'importanza di una giustizia sociale che da tempo gioca a nascondino, ma che con la crisi finanziaria ed economica è quasi del tutto fuggita dai programmi dei governi eletti dai cittadini di tutto il mondo.
Una protesta che nasce dalle nuove generazione, i vituperati giovani. Studenti, precari, disoccupati, neet. Anche chi ha il coraggio di definirli "bamboccioni" dovrà comunque riconoscere che sono loro a rappresentare gli strati più attivi della società civile, e non certo solo per l'esuberanza di un'età ancora acerba, ma perché presi con più forza nella morsa di un'economia impazzita da un lato, e dalla mancanza di tutele da parte delle istituzioni dall'altra.

I giovani hanno deciso di accendere in massa la miccia della protesta, proclamandosi indignati dallo stato delle cose. Con manifestazioni portate avanti essenzialmente nello spirito della non violenza e della democrazia dal basso, i ragazzi nelle piazze hanno presto ottenuto l'appoggio del mondo della cultura (che in parte essi stessi rappresentano), del mondo del lavoro, dei movimenti ambientalisti (non molti a dir la verità) e di tutti i soggetti deboli di questa società atomizzata e lasciata in balìa della tempesta, che avrebbero altrimenti tra le mani un solo suggerimento calato dall'alto, quello di affidarsi al timone bugiardo dell'egoismo individuale.

Inizialmente confinato solo all'interno dei confini spagnoli, il Movimiento 15-M (ossia 15 maggio) ha affollato le strade e le piazze della Grecia - che non ha ancora smesso di scivolare sotto il fardello dei debiti tanto quanto per la gestione tatcheriana della crisi da parte della cosiddetta troika - e in minor misura quelle di tutta Europa. È sbarcato anche in Italia, dove però le attese scintille si sono presto trasformate in tiepide ceneri. E giù con le critiche, le accuse di inettitudine ai giovani (nostrani, almeno).

Adesso, però, le ceneri sono di nuovo infuocate, in Italia come altrove, pronte ad incendiare un nuovo 15, quello di ottobre. Forse più che altrove, come si può vedere dagli assaggi portati lungo lo Stivale di quello che accadrà questo sabato. I primi accampamenti nelle piazze, i flash-mob ed i sit-in di protesta contro le banche. Assieme alla goliardia e l'insofferenza che da sempre è il marchio delle proteste giovanili, assieme al desiderio, forte, di gridare un "no" generalizzato contro non si sa bene cosa, contro quella mano invisibile (una sorta di nomen omen economico) che ti si infila nelle tasche per rubarti il futuro, forse si sta facendo definitivamente spazio la coscienza di rappresentare, sotto i cartelli in strada o dietro la tastiera di un pc, la somma di quelle piccole ma fondamentali gocce della massa critica, culturale e sociale, che deve indispensabilmente addensarsi per dare il là al ribaltamento del paradigma socioeconomico avversato.

Rincorrere un'ecologia dei rapporti tra cittadini ed una sostenibilità dei rapporti tra l'economia della società con quella degli ecosistemi sono due facce della stessa medaglia. Nella speranza di un new-New Deal, l'obiettivo da costruire insieme diventa allora quello di rifondare la vita pubblica mettendo al centro un individuo non isolato, ma posto all'interno di un ecosistema dal quale dipende e in un contesto sociale equo, con tutte le responsabilità che questo comporta. Parlare di sostenibilità è un domandarsi implicito sul che cosa si vuole rendere riproducibile in futuro, sul che cosa si pensa abbia un tale valore. La crisi ha solo aumentato l'urgenza di una risposta, e la sabbia nella clessidra è quasi finita.

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