[06/10/2011] News

Parchi nazionali: migliorare le strategie e il consenso

Riceviamo e pubblichiamo

Il dibattito in atto sulla riduzione delle risorse destinate ai parchi nazionali, a causa delle diverse manovre finanziarie, andrebbe ricondotto in un alveo più oggettivo, slegato da pregiudizi o dall'appartenenza a schieramenti politici o ideologici.  La debacle delle finanze pubbliche, scaturita da decenni di gestione clientelare della cosa pubblica, aggravata dalla globalizzazione di mercati in cui ha preso il sopravvento la parte speculativa, si scarica sul bilancio degli stati e, di conseguenza, sugli enti territoriali.  La crisi del debito sovrano della Grecia, della Finlandia, della Spagna e dell'Italia è l'effetto di un approccio irresponsabile nella gestione del cosa pubblica e di un atteggiamento "piratesco" rispetto alle risorse della natura. Tutto ciò avviene non per colpa del fato, ma è la politica dei partiti che si sono succeduti nel corso della storia al Governo degli stati e degli enti territoriali che ha prodotto questi risultati. 

Che cosa possiamo dire dell'amministrazione dei parchi nazionali?  Stiamo parlando di enti  pubblici non economici ai quali è stata affidata dalla legge una funzione speciale "garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale, culturale e storico delle aree protette", una funzione questa che contiene una valenza universale proiettata nel futuro, attraverso la creazione di valore diffuso, inteso in termini di benessere ambientale, sociale e culturale, i cui azionisti siamo noi tutti e le future generazioni.  

Bisogna evidenziare che la natura giuridica degli enti Parco prevista dalla normativa vigente è ibrida. Infatti, da un lato essi si configurano come enti autarchici, in altre parole come amministrazioni che concorrono a realizzare i fini dello Stato e perciò sottoposti alla vigilanza del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare;  dall'altra somigliano ad enti locali a carattere territoriale i cui organi di direzione politica non vengono eletti dal popolo ma sono di nomina ministeriale. Ne discende che gli enti parco, da una parte non hanno l'autonomia né la rappresentanza degli enti locali, dall'altra registrano un deficit di capacità decisionale come dimostra l'enorme ritardo in cui si trovano i parchi italiani nell'attuazione delle previsioni della legge quadro.

La normativa disciplina dettagliatamente le finalità del Parco, consistente nella tutela e nella valorizzazione dell'area protetta, individuando il contenuto e l'iter procedurale degli strumenti di programmazione e gestione ma, nella sostanza, ciò che conta è la capacità manageriale di perseguire gli obiettivi di tutela e di uno sviluppo economico sostenibile del territorio.   Spesso nei documenti di programmazione c'è una dettagliata ricognizione dell'economia del Parco ma, spesso, manca un'articolazione del processo strategico che si sostanzia in un dettagliato "chi fa che cosa, con quale obiettivo, di breve, medio e lungo periodo". Il  Piano del Parco dovrebbe rappresentare una ricognizione dello stato del territorio, mentre il Piano Pluriennale Economico e Sociale deve prevedere le linee di sviluppo economico compatibile. I due strumenti sono sostanzialmente collegati in una logica unitaria che risponda a un orientamento strategico di governance del territorio protetto.  D'altronde "la complessità delle strategie da mettere in atto e la conflittualità degli interessi territoriali da comporre" richiederebbero una strutturazione istituzionale e organizzativa agile e flessibile, infatti, la missione e la logica strategica e operativa di gestione portano a considerare il Parco come una realtà "imprenditoriale" che, attraverso le attività di tutela ambientale, genera valore territoriale, ma ciò dipende dalla capacità di realizzare strategie di successo.  Se questo è lo scenario di riferimento i programmi strategici e la gestione dell'ente parco dovrebbero competere alla funzione manageriale.  Per questo, al Direttore del Parco spetterebbe il compito di coordinare il processo d'implementazione degli strumenti di pianificazione con modalità manageriali, nel rispetto dei vincoli istituzionali.

Purtroppo, la struttura istituzionale vigente dell'ente è costituita da una pletora di amministratori tra cui un Presidente, un Consiglio direttivo di dodici membri, un Consiglio della Comunità del Parco composto, in alcuni casi, anche da oltre ottanta membri; a fronte di tale struttura magmatica, la funzione direzionale è ridotta a un ruolo marginale e gregario, con limitata autonomia gestionale, sottoposta al condizionamento d'infinite pressioni.  Di conseguenza, oggi abbiamo un quadro molto desolante nell'attuazione degli strumenti di programmazione e gestione dei territori protetti, dove solo alcuni Enti hanno approvato il Piano del Parco e il Piano pluriennale di sviluppo economico e sociale e, anche dove questi strumenti sono stati approvati, stentano a decollare; pertanto a distanza di venti anni, i parchi nazionali non sono ancora riusciti ad assumere un ruolo strategico e rilevante nel contesto territoriale.  

Orbene, ritengo sia giusto rivendicare le risorse finanziarie necessarie alla gestione ordinaria, ma il successo delle aree protette si ha solo se gli enti sono in grado di attivare strategie di successo, attraverso progetti d'investimento, riconoscendo l'importanza delle risorse intangibili, tra cui il capitale umano, comprendendo il contributo che il personale offre alla reputazione e al consenso sul governo del territorio protetto.

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