[03/10/2011] News

Un terzo degli abitanti del mondo vive in baraccopoli assediate dal cambiamento climatico

Il 17 dicembre 1985 l'Assemblea generale dell'Onu designò il primo lunedi di ottobre di ogni anno come World habitat day , che quindi si celebra oggi con il tema "Le città e il cambiamento climatico". UN-Habitat spiega che «L'umanità è davanti ad una minaccia estremamente preoccupante. Le conseguenze dell'urbanizzazione e del cambiamento climatico oggi convergono pericolosamente e questo fenomeno minaccia di avere degli impatti negativi senza precedenti sulla qualità della vita e sulla stabilità economica e sociale.

Nondimeno, questa minaccia porta con se un insieme di opportunità. Anche se le zone urbane e la loro forte concentrazione di popolazione, di industrie e di infrastrutture saranno sicuramente le più gravemente colpite dal cambiamento climatico, lo sviluppo urbano dà anche numerose opportunità per progettare, di fronte a questo cambiamento climatico, delle strategie integrate di attenuazione e di adattamento. Le popolazioni, le imprese e le autorità dei centri urbani avranno un ruolo determinante da giocare nelle definizione di queste strategie».

Un ottimismo obbligato che però deve fare i conti con una realtà durissima : secondo due inviati speciali dell'Onu, Raquel Rolnik, esperta di diritto all'abitazione, e Chaloka Beyani, inviata per i profughi interni, quasi un terzo della popolazione mondiale vive in quelle che in America latina si chiamano "villas miseria", le baraccopoli, e in accampamenti urbani di fortuna.

«Non c'è molto da celebrare nella giornata mondiale dell'Habitat - hanno detto i due esperti Onu - Si osserva una pericolosa combinazione di urbanizzazione rapida, principalmente in aree non pianificate, con l'incremento della frequenza e intensità dei disastri provocati dal cambiamento climatico».

Dopo aver sottolineato che «Questa tendenza probabilmente colpirà molte società», Rolnik e Beyani in un comunicato congiunto affermano che «Gli Stati e la comunità internazionale non possono continuare ad ignorare le vulnerabilità delle persone che vivono in questi luoghi ed i crescenti rischi che affrontano. In una prospettiva di diritti umani, è imprescindibile migliorare questi siti e le loro precarie condizioni di vita, come parte di una politica di prevenzione e risposta ai disastri».

Il segretario generale dell'Onu, Ban K-moon, ha ricordato che «Quest'anno il World Habitat Day ha luogo durante il mese in cui i demografi annunciano che nascerà il settemiliardesiomo abitante del nostro pianeta. L'avvenire che erediteranno questo bambino e la sua generazione dipenderà in gran parte della maniera in cui risponderemo alle pressioni concorrenti esercitate dalla crescita demografica, dall'urbanizzazione e dal cambiamento climatico.

Gli specialisti prevedono che, entro il 2050, la popolazione mondiale sarà aumentata del 50% in rapporto al 1999. In quel momento, dicono gli scienziati, le emissioni di gas serra a scala mondiale dovranno essere state ridotte del 50% in rapporto ai livelli registrati all'inizio del nuovo millennio. Io chiamo questa la sfida 50 - 50 - 50».

Quel che preoccupa di più Ban Ki-moon è l'aumento del livello del mare: «Oggi, 60 milioni di persone vivono ad un solo metro al di sopra del livello del mare. Alla fine del secolo, questio numero raggiungerà i 130 millioni. Le grandi città situate lungo le côste, come Il Cairo, New York, Karachi, Calcutta, Belém, New Orléans, Shanghai, Tokyo, Lagos, Miami ed Amsterdam potrebbero essere minacciate da gravi pericoli causati dagli uragani. Il legame tra urbanizzazione e cambiamento climatiè davvero reale è potrebbe rivelarsi mortale».

Ma Ban non è pessimista : «Le città sono centri di industrializzazione e fonti di emissioni, ma offrono anche delle soluzioni. Sempre più municipalità utilizzano l'energia eolica, solare o geotermica e contribuiscono così alla crescita verde e ad una migliore protezione dell'ambiente. Le attività condotte a livello locale giocano un grade ruolo nel successo di questi sforzi, ma devono essere supportate da iniziative di portata internazionale. Constatiamo già dei progressi, come testimoniano ad esempio la creazione dei Fondi per l'adattamento ai cambiamenti climatici e l'adozione del Piano di azione mirante a ridurre le emissioni causate dal disboscamento e dal degrado delle foreste, conosciuto sotto il nome di Redd+».

Anche il direttore esecutivo di Un-Habitat, Joan Clos, parte dal fatto che la popolazione mondiale ha ormai raggiunto i 7 miliardi e che oltre la metà degli esseri umani vive in città e che saranno addirittura i due terzi entro una generazione. «Come gestiremo questo fenomeno di urbanizzazione rapida? - si chiede Clos - Ecco certamente una delle più grandi sfide che dobbiamo cogliere. Non dimentichiamo che le più forti ripercussioni delle catastrofi climatiche si fanno sentire da subito e in seguito nelle città».

Secondo il rapporto Un-Habitat "Cities and Climate Change: Global Report on Human Settlements 2011", «Entro il 2050 potremmo avere fino a 200 milioni di rifugiati ambientali nel mondo, molti tra loro saranno obbligati a lasciare le loro case a causa dell'innalzamento del livello dei mari e dell'accresciuta frequenza di inondazioni o di siccità».

Per Clos «La prevenzione dovrà essere assicurata grazie al miglioramento delle pratiche urbanistiche e dei codici di costruzione in maniera che i cittadini, in particolare i più poveri, siano protetti con tutte le misure possibili contro le catastrofi. Queste misure possono anche aiutare a mantenere la loro impronta ecologica al minimo. I rischi indotti dal clima, per esempio l'aumento del livello dei mari, i cicloni tropicali, delle forti precipitazioni e delle condizioni climatiche estreme, possono perturbare fondamentalmente il tessuto urbano ed il funzionamento delle città ed avere delle ripercussioni importanti per l'infrastruttura fisica, l'economia e la società, compresi i rischi per la salute pubblica nelle zone urbane».

Ma anche secondo Clos, l'urbanizzazione offre numerose opportunità per elaborare strategie di adattamento ai cambiamenti climatici e per attenuare i loro effetti: «Le città consumano la maggior parte dell'energia prodotta dai combustibili fossili nei trasporti urbani, la soluzione sembra evidente. Infatti, le economie di scala risultanti dalla concentrazione delle attività economiche nelle città fano si che siano il miglior mercato e più facile per prendere delle misure per ridurre le emissioni ed i rischi climatici al minimo. Nelle città, i protagonisti sociali, economici e politici devono quindi diventare dei protagonisti dell'elaborazione di queste strategie. Numerose città e metropoli, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, lottano ancora con le strategie relative ai cambiamenti climatici, cercando di aver accesso al finanziamento internazionale in questo settore e come trarre insegnamenti dalle città pioniere. In occasione di questo World Habitat Day, riflettiamo sul modo in cui possiamo trasformare le nostre città, che sono innegabilmente le più grandi realizzaziioni della civiltà umana, per farne delle città migliori per il futuro».

Torna all'archivio