[08/09/2011] News

Una manovra e due generazioni allo specchio

La manovra è stata votata al Senato con il suo carico di imbrogli e demagogia (come ben dimostrato da Galapagos sul Manifesto per quanto riguarda la finta lotta agli evasori e ricordato da Giovanni Sartori sul Corriere  per quanto riguarda la prima promessa mancata del dimezzamento dei parlamentari). La manovra sarà votata anche alla Camera entro martedì, per consentire al Pd di presentare pochi importanti emendamenti e "di mettere agli atti" il «no» all'aumento dell'Iva e il «no» all'articolo 8 sulla deroga contrattuale che riguarda i licenziamenti (Se non ci fosse stata la Cgil a riempire le piazze l'opposizione parlamentare - per non parlare di Cisl e Uil - avrebbe fatto solo la figura di quello che dopo essere stato massacrato di botte disse: "sapessi però quante gliene ho dette!"). Intanto il consiglio dei ministri stamani ha approvato il ddl per l'abolizione delle province (o solo la loro trasformazione in città metropolitane?); la Bce ha infine confermato i tassi di interesse e gli aiuti all'Italia, che si è diligentemente impegnata a promettere rigore e stasera Obama presenterà il suo piano di stimoli da cui è lecito aspettarsi ben poco di positivo dal punto di vista della sostenibilità.

Pannicelli caldi dunque, per non dire poco più che annunci, per abbassare la febbre invece di curare la malattia. Che è sempre la stessa. L'ossessione della crescita a tutti i costi, come ricorda Guido Viale sul Manifesto che rispolvera addirittura la teoria dei sentimenti di Adam Smith, invocando «il fondamento ultimo della vita associata: la capacità di mettersi nei panni degli altri». Potremo tradurlo anche con l'incapacità dell'agire collettivo che caratterizzata le due generazioni (a sinistra) che oggi si stanno passando il testimone: la generazione che ha visto crollare i suoi sogni di giustizia sociale e che vede il mondo (almeno quello occidentale) andare nella direzione opposta nonostante l'evidente crisi del modello iper-capitalista, costretta a riscendere in piazza oggi, con i capelli bianchi e mille distinguo, per difendere i diritti conquistati per tutti. E la generazione dei trenta-quarantenni (a cui appartiene chi scrive), figlia dell'incertezza e dell'instabilità, quasi incapace di coniugare pensieri e azioni con il soggetto ‘noi', salvo poi sfociare in rivolte (come quella recente inglese) dove però il nichilismo della massa inferocita è funzionale all'individuo atomizzato e isolato, inserito come mero consumatore e aspirante tale nella società globalizzata e all'individuo senza comunità e "parte"...

E qui entra in ballo la democrazia. Perché come giustamente spiega Dani Rodrik su Repubblica «lo squilibrio tra il potere nazionale dei Governi e la natura globale dei mercati rappresenta il ventre molle della globalizzazione. Un sistema economico mondiale sano necessita di un delicato compromesso fra le due cose».

Secondo l'autore del saggio "La globalizzazione intelligente"(Laterza 2011)  «Per rimettere in piedi, su basi più solide, il nostro mondo economico, bisogna comprendere meglio il fragile equilibrio fra mercati e governance», cominciare a comprendere quello che il professore di economia ad Harward definisce il «trilemma» politico di fondo dell´economia mondiale: non è possibile perseguire simultaneamente la democrazia, l´autodeterminazione nazionale e la globalizzazione economica.

«Far progredire insieme la democrazia e la globalizzazione è possibile - scrive Rodrik -  ma il trilemma suggerisce che per fare una cosa del genere sarebbe necessario creare una comunità politica globale, un progetto molto, ma molto più ambizioso di qualsiasi cosa si sia vista in passato o si possa immaginare di vedere in un futuro prossimo. La governance democratica globale è una chimera, che sembra difficile da realizzare perfino in un raggruppamento ben più ristretto e coeso come l´Eurozona. Qualunque modello di governance globale si possa sperare di realizzare in questo momento potrà servire a supportare solo una versione molto limitata della globalizzazione economica.

Dunque dovremo fare delle scelte. Io non ho dubbi: la democrazia e la determinazione nazionale devono prevalere sull´iperglobalizzazione. Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro sistemi sociali, e quando questo diritto entra in conflitto con le esigenze dell´economia globale, è quest´ultima che deve cedere. Restituire potere alle democrazie nazionali garantirebbe basi più solide per l´economia mondiale, e qui sta il paradosso estremo della globalizzazione. Uno strato sottile di regole internazionali, che lascino ampio spazio di manovra ai Governi nazionali, è una globalizzazione migliore, un sistema che può risolvere i mali della globalizzazione senza intaccarne i grandi benefici economici. Non ci serve una globalizzazione estrema, ci serve una globalizzazione intelligente». Resta però un dubbio: ma se la globalizzazione è, come è, inevitabile, qualcuno dovrebbe spiegarci come possa essere anche intelligente.

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