[01/09/2011] News

La crisi non è finita di N. Roubini e S. Mihm

Discese ardite e risalite. Il "new normal" dell'economia mondiale rischia di essere un eterno giro sulle montagne russe. Nouriel Roubini e Stephen Nihm ne sono convinti e lo affermano con argomenti difficilmente criticabili nella loro ultima fatica non a caso intitolata "La crisi non è finita".

E' un problema, tra gli altri, di velocità con cui gli accadimenti si susseguono, tanto che pure quest'opera sicuramente "sulla notizia", ma ponderata assai data la mole di materiale processato, sembra in parte già superata dagli eventi, nonostante sia stata pubblicata solo pochi mesi fa.

Velocità perché la finanza ormai corre sulla Ferrari dell'informatizzazione spinta, come sottolineano pure gli autori, rischiando ad ogni curva di uscire di strada (socialmente e ambientalmente): «Globalizzazione e innovazione sono andate di pari passo, rafforzandosi a vicenda (...). La globalizzazione potrebbe suscitare crisi molto più frequenti e virulente. La rapidità con cui i capitali finanziari vaganti entrano ed escono da specifici mercati e da singole economie ha esacerbato la volatilità dei prezzi delle attività e l'intensità delle crisi finanziarie».

Poi una riflessione che i lettori di greenreport certamente hanno già sentito: «Sfortunatamente, mentre la finanza si è globalizzata, la sua regolamentazione rimane una questione nazionale. Tutto questo non fa che accrescere la probabilità di crisi future che potrebbe assumere proporzioni globali».

Inutile dire che di Roubini, almeno un po', è bene fidarsi, visto che è stato tra i pochi che avevano previsto con largo anticipo la crisi del 2008, ma c'è da sperare che le sue intuizioni sul futuro non siano esatte. O almeno che prevalgano i suoi auspici. Perché ad esempio la sua analisi vede porre il default greco ancora come una ipotesi e valuta positivamente che si sia messa sulla retta via, non sapendo quello che poi invece sta accadendo.

Come del resto ritiene che il Giappone possa riprendersi, non potendo sapere del disastroso terremoto che lo avrebbe colpito e che oltre ai morti avrebbe messo in discussione la sua fornitura di energia dal nucleare che a sua volta ha fatto cambiare di netto la politica energetica della Germania.

Parlando delle economia avanzate si legge nel testo che «La recente crisi finanziaria e la recessione che ne è scaturita hanno provocato una grave erosione delle rispettive posizioni fiscali, duramente colpite dai piani di stimolo e dal calo delle entrate tributarie, nonché dalla decisione di socializzare le perdite del settore finanziario, trasferendole di fatto sulle spalle dei contribuenti».

Ancora più interessante l'analisi sui paesi cosiddetti Pigs: «Portogallo, Italia, Grecia e Spagna versano in gravi difficoltà: in anni recenti hanno subito un'esplosione del debito pubblico e un declino della competitività, per un complesso insieme di ragioni. L'adozione dell'euro ha permesso loro di indebitarsi e consumare di più di quanto non avrebbero fatto altrimenti; il boom del credito che ne è conseguito ha sostenuto i consumi, ma provocando un aumento dei salari, che ha reso le loro esportazioni meno competitive. Al tempo stesso, l'eccessiva burocrazia e altri impedimenti strutturali hanno scoraggiato gli investimenti nei settori ad alto valore aggiunto, sebbene le retribuzioni in questi paesi fossero inferiori alla media dell'Unione europea (...). L'alto grado di indebitamento li rende una potenziale fonte di contagio finanziario».

Ma se può apparire un problema solo "finanziario", Roubini parlando della Cina spiega bene qual è il vero nesso tra economia reale e appunto finanziaria: «grazie al boom dell'investimento pubblico e privato, la Cina oggi vanta un'infrastruttura decisamente superiore al suo livello di sviluppo: molti nuovi aeroporti sono vuoti e sulle autostrade circolano pochi veicoli. Il colosso asiatico ha registrato anche un aumento strabiliante dei progetti di sviluppo edilizio, che porteranno inevitabilmente a un surplus di immobili commerciali e residenziali. Grazie alla crescita economica e al processo di urbanizzazione, le infrastrutture e gli immobili verranno prima o poi utilizzati, ma l'offerta comincia a superare la domanda. Sfortunatamente, alcune di queste distorsioni sono dovute al fatto che la terra non è valutata ai prezzi di mercato, poiché lo stato continua a controllare l'offerta. Una parte del credito che fluisce abbondantemente nell'economia cinese viene destinato anche ad altri usi altrettanto improduttivi, come l'acquisto speculativo di materie prime, azioni e immobili mediante il ricorso alla leva finanziaria».

Tutta colpa della globalizzazione? Per i due autori non è così. Anzi. Il problema è, manco a dirlo, la mancanza di un governo. Restando all'interno di un'economia di mercato, per "migliorare il suo funzionamento" e «consentire ai lavoratori di essere più flessibili e mobili in un'economia globale dove la ‘distruzione creatrice' è la norma, il governo dovrà assumere un ruolo maggiore, non minore». «Ricorrendo - proseguono i due autori - alla politica monetaria e a una più ampia regolamentazione, i governi possono arginare i fenomeni di boom e declino; possono fornire quella vasta rete di sicurezza sociale necessaria per rendere i lavoratori più produttivi e flessibili; e possono attuare politiche tributarie che riducano le disuguaglianze di reddito e ricchezza (...). Il nostro futuro potrà anche essere segnato dalle crisi, ma i governi possono limitarne l'incidenza e la gravità».

Anche per Roubini e Mihm non bisogna sprecare le opportunità della crisi, ma per quanto è successo e sta succedendo dopo l'uscita del libro, ci pare che per ora lo si sta facendo. Sul piano della rapidità e della capacità di fare quadrato di fronte alla crisi Grecia, si potrebbe dire che l'Ue qualche colpo lo sta dando, ma è troppo poco. I mercati sembrano non fidarsi più di nessuno e vanno dritti per la loro strada. Se da questo "gioco" sulla pelle della gente non si tirano via almeno le materie prime alimentari, disoccupazione, riduzione dei servizi, distruzione del welfare e nei casi peggiori affama mento sempre maggiore dei poveri saranno dirette conseguenze. Ma questo è solo un primo passo. Dobbiamo dar vita a un processo di definanziarizzazione dell'economia reale riportandola alla sua origine di allocazione delle risorse scarse utilizzate per produrre beni e servizi, non si capisce come si potranno ridurre i flussi di energia e di materia che reggono il metabolismo economico e che sono alla base della sostenibilità ambientale.

 

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