[29/08/2011] News

Le mani sul tesoro. Le trivellazioni petrolifere nel Canale di Sicilia e gli affari di famiglia del ministro

Non si può certo dire che Greenpeace non abbia tempismo. Due giorni fa Il Fatto Quotidiano in un articolo intitolato ("Sicilia, trivelle pronte per l'oro nero. E per la Prestigiacomo è un affare di famiglia") ha accusato il ministro dell'ambiente di avere familiari coinvolti nel Consorzio Coemi «che ha acquistato e trasformato la petroliera Leonis, un colosso da 110mila tonnellate, che deve essere ormeggiata alla piattaforma per raccogliere il greggio estratto». Una commessa da 30 milioni. Coemi, scrive Il Fatto, «come dice lo stesso sito della società, è nata come impresa di famiglia dei Prestigiacomo. L'amministratore delegato è Maria Prestigiacomo, sorella maggiore del ministro dell'Ambiente. Di più: la Coemi è oggi proprietà della società Fincoe, di cui Stefania Prestigiacomo deteneva il 21,5 per cento fino al novembre 2009 quando l'ha donato alla madre Sebastiana Lombardo, oggi azionista di maggioranza.

Emergerebbe quindi che una società di cui fanno parte familiari stretti del ministro dell'Ambiente è impegnata nell'attività di estrazione di petrolio intorno alla Sicilia. Ancora niente di illegale, ma certo una questione che non rassicura chi si oppone alla caccia al petrolio nei mari dell'isola. Di più: sul sito della Coemi si legge che tra i clienti della società (oltre al ministero della Difesa, ma questa è un'altra storia) ci sono anche Eni, Erg, Esso».

Proprio gli operatori che si ritrovano nel rapporto di Greenpeace "Le mani sul tesoro. Perché proteggere il Canale di Sicilia dalla corsa all'oro nero" che documenta l'enorme bellezza e il valore biologico dell'area, chiedendo «con urgenza al ministro dell'Ambiente, l'on. Presti­giacomo, di bloccare ogni folle progetto di esplorazio­ne e perforazione petrolife­ra nel Canale di Sicilia e di attivarsi immediatamente per garantire la dovuta tu­tela alle aree più delicate con la creazione di un'am­pia area protetta».

La Rainbow Warrior, la nave ammiraglia di Greenpoeace, ha effettuato una ricognizione preliminare sui banchi Skerki, Talbot, Avventura e Pantelleria e spiega che «la notevole documentazione fotografica raccolta conferma come i banchi siano aree spettacolari. Particolarmente ricche di pesci, dalla murena al torpedo comune, e di habitat chiave, come le praterie di posidonia, ospitano anche importanti aree di riproduzione di specie commerciali come il nasello e la triglia. Tra le aree più spettacolari le grotte e le pareti rocciose ricoperte da organismi filtratori come il corallo arancione Astroides calycularis».

Secondo "Le mani sul tesoro" «il Canale di Sicilia è stato oggetto negli ultimi anni di numerose esplorazioni petrolifere. Grandi compagnie come Shell, Eni o Northern Petrolium si sono affrettate a chiedere permessi per trivellare i fondali tra Italia e Tu­nisia alla ricerca del petrolio, e sembra che lo abbiano trovato, attirando così la bramosia di nuovi "cercatori di oro nero"! In certi casi parliamo di compagnie da capi­tali irrisori, come la San Leon Energy, detentrice di domande di ricerca al largo della costa occidentale - da Sciacca a Mar­sala, e proprietaria di un capitale sociale di soli 10 mila euro. In altri casi di compagnie che arrivano addirittura dall'Austra­lia per minacciare i nostri mari, come l'Adx Energy. Il Dlgs n. 128/2010, che vieta l'estrazione di idrocarburi in un raggio di 12 miglia da aree marine protette e di 5 miglia dalla linea di costa, ha fermato solo in parte queste compagnie. Al momento, sul tavolo del Ministero ci sono 29 istanze di ricerca: solo 8 sono bloccate perché si trovano in aree adesso interdette, per lo più al largo delle Isole Egadi, per la presenza di un'area marina protetta. 16 sono le istanze fuori dalle zone di divieto e che, quindi, proseguiranno l'iter, mentre 5, essendo al confine della linea di demarcazione fra le due aree, ver­ranno solo ridotte. Il pericolo non è per niente scongiura­to: zone chiave del Canale, non adeguatamente tutelate, rimangono completamente alla mercé degli interessi dei magnati del petrolio, come nel caso dei banchi».

La Northen petrolium aveva annunciato che avreb­be sfruttato le sue concessioni, con di trivellazione vicino al banco Pantelleria, entro il primo quadrimestre 2011, poi non realizzate. Intanto si sono moltiplicate le richieste di nuovi permessi di ricerche petrolifere per accapar­rarsi le zone ancora disponibili, da Siracusa a Pantelleria fino a Lampedusa.

Greenpeace spiega che «proprio in questi mesi l'Audax Energy S.r.l., compagnia con sede legale a Roma ma controllata da Adx o Audax Energy Ltd australiana, ha avviato la procedura per richiedere un Permesso di ricerca idrocar­buri in un'area di circa 654,4 km2 (d 364 CR-AX), che comprende l'area tra il banco di Pantelleria, il Banco Avventura e il Banco Talbot, una di quelle di maggior valore biologico del Canale». L'Adx è nota in Sicilia: nel 2010 una sua enorme piattaforma comparve su fondali tunisini al largo di Pantelleria, propri al confine con le acque italiane, dove ha trovato il giacimento pe­trolifero Lambouka 1.

Il dossier degli ambientalisti spiega che «avendo trovato ciò che cercava, l'Audax adesso ci riprova ed espande i propri interessi sul nostro versante, chiedendo al ministero dell'ambiente di pronunciarsi sulla compatibilità ambientale di un nuovo progetto di ricerca sui banchi. E come lo fa? Tramite una compagnia, l'Audax Ener­gy Srl, di cui è totalmente proprietaria ma con sede legale in Italia e dal capitale sociale assolutamente irrisorio, 120mila euro, in modo da evitare ogni tipo di responsabilità in caso di disastri ambientali. Abbiamo riscontrato, inoltre, chiare vio­lazioni procedurali: i documenti sono stati resi disponibili al pubblico con oltre due settimane di ritardo rispetto ai termini stabiliti per presentare osservazioni contrarie al progetto e da persone che non avevano nemmeno il titolo per farlo, la documentazione è incompleta e lo studio ambientale risulta totalmente insufficiente e inesatto».

Per Greenpeace «non si tiene minimamente in considerazione l'incredibile biodiversità dell'area né la sua importanza per le risorse ittiche, mentre è chiaro che le attività proposte causeranno seri impatti sulla vita marina. Insomma la storia è sempre la stessa: le compagnie petrolifere non sono in grado di dare nessuna garanzia, mettendo con i loro progetti in grave pericolo l'ambiente e l'economia delle popolazioni costiere. Associazioni e comitati locali, di cui anche Greenpeace fa parte, hanno presentato proprio in questi giorni precise osservazioni a riguardo, chiedendo di negare alla compa­gnia il permesso a operare ricerche di idrocarburi sia con indagini sismiche che con pozzi di trivellazione. Ci auguria­mo vivamente che questa volta il ministero dell'ambiente si preoccupi di tutelare l'ecosistema marino e non gli interessi dell'industria petrolifera». Secondo quanto scrive Il Fatto il ministro potrebbe avere qualche problema anche con gli interessi della sua famiglia...

Ma non è tutto, come spiega Greenpeace: «Come se non bastasse, l'Adx sempre tramite l'Audax Energy Srl, è già proprietaria di un altro vecchio permesso di ricerca al largo delle coste di Pantelleria (GR-15 PU), e an­nuncia sul proprio sito che sta chiedendo nuovi permessi di esplorazione più a nord, proprio tra il banco di Pantelleria e quello Avventura (d 363 CR-AX). La mappa che presentano sul loro sito rende molto bene l'idea di come queste compagnie vorrebbero trasformare il Canale di Sicilia in un Golfo del Messico nostrano».

Per questo, «davanti alla mancanza di proposte concrete, e alla cre­scente minaccia delle perforazioni petrolifere, Greenpea­ce propone uno schema di protezione per tutelare le aree più sensibili del Canale. Senza alcuna pretesa di voler vicariare il compito dei ricercatori e con la speranza di fornire uno strumento utile che possa stimolare l'Italia in questi processi di tutela, Greenpeace propone la crea­zione di un'area protetta» che dovrebbe comprendere i bassi fondali rocciosi dei banchi e che va dai banchi di Talbot fino al banco di Graham. L'area tutelerebbe il banco Avventura e il banco di Pantelleria. L'area comprende importanti zone di riproduzione per triglia, nasello e gam­bero rosa.

Secondo gli ambientalisti, «solo la creazione di una riserva marina d'alto mare è in grado di garantire una reale e duratura tutela dell'area scongiurando presenti e futuri progetti di perforazioni, e non solo. Nelle aree più delicate dovranno, infatti, essere bandite tutte le attività di scarico pericolose ed estrattive, compresa la pesca. La tutela delle risorse ittiche deve andare di pari passo a quella della diversità biologica: l'uomo preleva biodiversità e la modalità e l'intensità di questo prelievo sono tra i fattori che possono alterare diversità e produttività dei mari. Lo stato critico delle risorse ittiche (nel Canale di Sicilia, in Italia, nel Mediter­raneo, nell'Unione Europea e nel mondo) dimostra che il prelievo fin'ora realizzato non ha senso poiché produce (spesso col sostegno di danaro pubblico) distruzione e impoverimento. È fondamentale che in questo momento comunità locali e pescatori facciano sentire le loro ragioni non solo per lottare contro l'imminente minaccia delle perforazioni ma per chiedere una duratura protezione delle risorse da cui dipendono. È ora che il nostro Paese si impegni per garantire un'ef­fettiva tutela dei propri mari. Invece di svendere le pro­prie ricchezze ai magnati del petrolio, l'Italia assuma una leadership nella creazione urgente di una rete di aree protette in grado di proteggere habitat chiave del Medi­terraneo a cominciare dai banchi del Canale di Sicilia».

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