[18/08/2011] News

La politica industriale deve far perno su innovazione, sostenibilità, efficienza

«Per avere una forte crescita economica è necessario poter contare su un sistema di imprese che siano competitive a livello globale. Partendo da questo presupposto, saranno cinque le linee di intervento principali su cui continuare la nostra azione».

Il vicecommissario della Commissione Ue Antonio Tajani (Nella foto), responsabile per l'industria e l'imprenditoria, interviene sul Sole 24 ore di oggi portando il suo contributo al dibattito europeo innescato dalla doppia proposta Merkel Sarkozy, che da una parte ipotizza un maggiore rigore nella ripartizione dei fondi europei, sulla base della capacità dei singoli Paesi di accogliergli, dall'altra  auspica l'introduzione della Tobin tax, che secondo il suo inventore dovrebbe costituire un freno alla speculazione e che in tutti questi anni nessun Paese è mai riuscito a varare. Semplicemente proposte di buon senso, nulla di eccezionale, ma nel grigiore di visione strategica in cui viviamo, diventano quasi rivoluzionarie.

Ed è per lo stesso motivo che anche i lavori della commissione presieduta da Tajani assumono talvolta connotati sorprendenti. Già in passato abbiamo sottolineato la più unica che rara - nel panorama politico - attenzione di Tajani nei confronti flussi di materia oltre che di quelli di energia, la cui gestione sostenibile diventa indispensabile se si vuole disegnare una politica industriale che non si tagli il proprio futuro e la propria competitività. 

 Il primo dei 5 punti  su cui si basa la comunicazione sul rafforzamento della competitività industriale nell'Unione europea che sarà  adottata dalla commissione Ue il prossimo ottobre,  è «investire maggiormente sull'innovazione industriale, al fine di colmare il divario tra ricerca di base e introduzione sul mercato e commercializzazione di nuovi prodotti e servizi». Anche perché secondo Tajani «i dati a disposizione dimostrano che le industrie altamente specializzate, sia dal punto di vista tecnologico che delle competenze, tendono ad avere un tasso di produttività più elevato e a risentire molto meno della concorrenza proveniente dai Paesi emergenti».

Il secondo dei cinque punti va al cuore dell'economia ecologica: «Garantire una maggiore sostenibilità nell'uso delle risorse e un migliore accesso alle materie prime industriali critiche», mentre il terzo punto riguarda l'efficienza di infrastrutture sia materiali sia virtuali a servizio del sistema produttivo: «Migliorare il contesto per le imprese, soprattutto attraverso una riduzione degli oneri amministrativi, un aumento dell'efficienza e della qualità dei servizi delle pubbliche amministrazioni, la realizzazione di infrastrutture europee nel settore dei trasporti delle comunicazioni e dell'energia e, infine, un'attenzione particolare al sistema di tassazione per le imprese».

Gli ultimi due punti - più amministrativi - sono per noi meno significativi, ma per quanto riguarda le linee guida sopraesposte  non possiamo che apprezzare, notando anche una certa sintonia con uno dei  punti della contromanovra che il Pd aveva presentato nei giorni scorsi in risposta a quella del governo. Riguardo alle politiche industriali per la crescita infatti, nell'assoluto silenzio governativo, il Pd ha proposto «di adottare subito misure concrete per alleggerire gli oneri sociali e un pacchetto di progetti per l'efficienza energetica, la tecnologia italiana e la ricerca, con particolare riferimento alle risorse potenziali e sollecitabili del Mezzogiorno. Sarebbe un errore imperdonabile intervenire sul controllo dei conti pubblici senza mettere in campo, sia pure limitatamente alle risorse disponibili, un pacchetto di stimoli alla crescita e per l'occupazione».

Pur nella loro vaghezza, queste idee (insieme a quelle di Tajani e a quelle di Merkel-Sarkozy, seppur dettate più dalla disperazione che da convincimenti ecologisti) danno qualche speranza  che nella classe politica italiana ed europea, cominci finalmente  ad affacciarsi una visione un po' più ampia, al di là dell'orizzonte delle singole legislature, e la consapevolezza della necessità di un  orientamento strategico comune in direzione di un'economia più ecologica.

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