[18/08/2011] News

L'attacco ad Israele nel Medio Oriente in fiamme

L'attacco ai due bus israeliani ad Eliat, del quale mentre scriviamo non si conosce ancora il bilancio (comunque tragico) delle vittime, segna di nuovo la sanguinosa irruzione della questione israelo-palestinese nello scenario di un Medio Oriente terremotato dalle rivolte arabe e del quale il governo di destra di Israele sembra non aver preso le giuste misure, continuando come niente fosse, come ha fatto negli ultimi giorni, a bombardare Gaza e a dare il via libera a nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata ed a respingere le navi con gli aiuti umanitari per Gaza, fregandosene dell'unanime condanna internazionale.

Secondo quanto scrive il sito del giornale israeliano Yediot Ahranot, nella vera e propria battaglia avvenuta vicino ad Eliat sarebbero anche esplosi una serie di ordigni piazzati sul ciglio della strada e alcuni razzi sono stati lanciati contro i soldati israeliani di guardia al confine con l'Egitto, causando altri morti. La radio pubblica israeliana Kol ha detto che ci sarebbero almeno 4 passeggeri morti in un bus colpito da un missile anti-carro e l'attacco sarebbe avvenuto 40 minuti dopo un assalto contro un altro autobus, con molti feriti, alcuni dei quali gravi.

Uno scenario simile a quello ancora in atto in Iraq e in Afghanistan, dove attentati e attacchi diretti seminano la morte tra i soldati delle forze occidentali e tra i civili indifesi, nonostante il nostro ministro della difesa, Ignazio La Russa continui a dire che potremmo venircene via abbastanza presto perché la missione di pacificazione è compiuta.  

Quello che sembra certo è che l'attacco è venuto dall'Egitto, dal Sinai dove è in corso una rivolta contro il governo del Cairo e dove gruppi armati dichiaratamente anti-israeliani stanno facendo saltare a ripetizione il gasdotto che rifornisce Israele e la Giordania. Alcuni militari in libera uscita che viaggiavano su uno dei bus attaccati hanno detto che i membri del commando erano vestiti come soldati egiziani.

E' abbastanza chiaro che le frange anti-israeliane della rivoluzione egiziana e la disperazione palestinese che tracima dalla gigantesca prigione a cielo aperto di Gaza si stanno saldando in un nuovo panarabismo probabilmente meno "socialista" di quello nasseriano, visto anche il fallimento dei regimi nazional-socialisti di Iraq e Siria, dove l'esercito baathista di Assad, non a caso, a Latakia ha bombardato proprio le miserevoli case dove si ammucchia la diaspora palestinese.

La fiammata di Eliat rischia di far esplodere definitivamente un Medio Oriente seminato di incendi e che sta affogando nel sangue della repressione in Siria e dell'infinita rivolta yemenita. L'irrisolta questione palestinese si presenta con un volto nuovo, ma non meno disperato, di fronte ad un governo israeliano che ha perso tutti i suoi vecchi alleati delle dittature arabe filo-occidentali, che guarda attonito il suo amico Hosni Mubarak processato in barella al Cairo, che assiste più preoccupato che sollevato alla mattanza siriana, dove un regime nemico ma "rassicurante" nella sua collocazione geopolitica spara sul suo popolo e sui profughi palestinesi.

Il crollo delle dittature arabe aveva in parte dissolto il muro protettivo di Israele, come hanno dimostrato le proteste interne di un'opposizione civile ebraica che aveva rialzato il capo dopo anni di umiliazione e silenzio e che ora rischia di essere ricacciata indietro dagli attentati e dalla battaglia di Eliat.  Così come rischia di rinchiudere ancora di più in un angolo buio la sinistra laica palestinese, stritolata tra il clientelismo corrotto dell'Olp e l'integralismo senza speranza di Hamas.Eppure proprio i profughi palestinesi, disseminati in tutti i Paesi arabi, rischiano di essere la miccia di una nuova guerra che potrebbe avere conseguenze devastanti. Il tutto in un'area dove lo sfruttamento dell'ambiente e delle risorse ha raggiunto (e probabilmente supoerato) il limite massimo, facendo non a caso da vero sfondo alle rivolte arabe che sono soprattutto richiesta di un'equa ridistribuzione delle risorse e dei redditi. Richeste che sembrano già tradite dai governi provvisori e dai militari, pronti ad allearsi con il conservatorismo islamico.

L'Occidente in crisi economica e politica non può permettersi che il Medio Oriente esploda, non può permettersi una nuova crisi petrolifera causata dall'estremismo del governo israeliano e dalla disperazione di qualche regime arabo che potrebbe cercare con un colpo di coda di uscire dalle sue difficoltà infiammando il panarabismo anti-ebraico.

Troppe mine politiche, economiche, di lotta per le risorse sono state innescate e sepolte sotto la sabbia dell'innominata guerra che striscia sotto i deserti medio-orientali dal 1948. Mine che vanno disinnescate subito, togliendo l'acqua in cui nuotano gli estremisti di entrambi i fronti. E il primo ordigno da disinnescare, quello più vecchio e pericoloso, è quello del popolo palestinese che ha diritto ad una terra e ad una patria che non siano galere e bantustan islamici circondate da muri ormai inutili e aggirabili, come dimostra l'assalto di Eliat, a meno che il premier israeliano  Benjamin Netanyahu, non voglia davvero costruirne un altro, come annunciato nell'ottobre 2010, al confine con il Sinai egiziano, cosi a sua volta Israele sarebbe prigioniero, il carceriere che sui è costruito l'ennesima galera mediorientale.

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