[18/08/2011] News

De Boer: «Il business deve avere una voce più forte nei negoziati globali sul clima»

Protocollo di Kyoto “riformato” e Durban roadmap

Vi ricordate Yvo de Boer (Nella foto), l'ex segretario esecutivo dell' United Nations framework convention on climate change (Unfccc) che nel 2010 ha gettato la spugna dopo lo stallo del summit climatico di Copenhagen? Attualmente è global climate change and sustainability advisor della Kpmg e in questa veste ha concesso un'intervista al giornale sudafricano Engineeering News, nella quale  ha detto che «In merito ai negoziati internazionali sui cambiamenti climatici, ci dovrebbe essere una maggiore interazione tra i governi e le imprese private, poiché le decisioni in questo forum hanno un impatto sul business».

Un discreto aggiustamento da parte di de Boer che prima difendeva fortemente il carattere di processo intergovernativo dei negoziati sui cambiamenti climatici e che ora, forse fulminato sulla via della Kpmg, una multinazionale di consulenze e servizi, ritiene  che le imprese debbano avere una voce più forte nei negoziati; «Soprattutto perché il cambiamento climatico è sempre più un problema a livello di boardroom. Il business  deve farsi avanti più spesso con una visione da  business dei negoziati sul cambiamento climatico. Speriamo che il  CEO forum del Sud Africa possa svolgere questo un ruolo».

De Boer si riferisce ad un forum delle imprese di recente costituzione, con circa 40 membri provenienti da diversi settori economici, che è stato coinvolto dal governo sudafricano sulle questioni del cambiamento climatico e per la preparazione della diciassettesima conferenza delle parti Unfccc che si terrà a Durban  tra la fine di novembre e dicembre .

Secondo l'ex diplomatico olandese, le aziende potrebbero attuare attività di business sul cambiamento climatico e «Il loro ingresso alla Cop17 è necessario per i negoziati globali. In ultima analisi, tuttavia, fino ad ora sono stati i governi a mettere in atto le politiche e il quadro e definire i processi per il progresso in materia». Per questo è convinto che  «E' improbabile che le imprese ottengano un posto al tavolo dei negoziati Unfccc». Anche perché, aggiungiamo noi, con la crisi economica e finanziaria infinita, non è che anche il mondo del business ci stia facendo una gran bella figura: la crisi ambientale e climatica è anche figlia di una crisi del sistema produttivo e di consumi che l'ha allevata e fatta crescere.

Secondo de Boer i problemi sono ancora peggiorati da quando lui ha lasciato l'Unfccc e che «La ragione per cui il mondo non sta progredendo sulle questioni ambientali è perché  la crescita verde non è avvenuta davvero: Finché si potrà pompare gas serra in atmosfera, senza costi, non vedremo la riforma. I processi politici dei negoziati erano corretti rispetto ai prezzi. Questo è stato un compito estremamente complicato, considerato il numero dei diversi Paesi partecipanti con i loro interessi contrastanti».

Ed alla Cop 17 di Durban lo scenario sarà se possibile ancora più complicato: 195 parti dovranno continuare una trattativa sfibrante, che dura praticamente dal giorno dopo l'approvazione del Protocollo di Kyoto, nella speranza di raggiungere un accordo sulle questioni del cambiamento climatico. Nella città sudafricana gli argomenti in discussione che interessano il mondo degli affari sono molti, a cominciare dal Green climate fund che dovrebbe raccogliere fondi per i cambiamenti climatici legati a progetti nei Paesi in via di sviluppo.

«Il governo sudafricano non avrà vita facile per garantire il successo di Durban - ha profetizzato de Boer, memore della sua non esaltante esperienza all'Unfccc -  Sarà particolarmente difficile perché il mondo è ancora nel bel mezzo di una crisi economica globale e molti commentatori ritengono che le politiche e le azioni sul cambiamento climatico siano in conflitto con la crescita economica. Gli Stati Uniti sono stati un fattore di complicazione, in quanto gran parte della attenzione del governo è andata alla sanità ed è difficile ottenere il "buy-in" per prendere una decisione sul cambiamento climatico».

De Boer è convinto, anche qui per propria amara esperienza personale, che gli Usa non accetteranno mai di firmare il Protocollo di Kyoto e di assumersi obiettivi legalmente vincolanti di riduzione delle emissioni: «La mia sensazione è che, a meno che i negoziatori non riescono a risolvere il futuro, o il non futuro, del Protocollo di Kyoto, a Durban  non ci saranno progressi sulle altre questioni».

Ma se il nodo è (come è sempre stato) il protocollo di Kyoto, siamo davvero nei guai: la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, compresi quelli emergenti, vogliono vedere la continuazione del Protocollo e un secondo periodo di impegno di riduzione delle emissioni dopo il 2012; diversi Paesi industrializzati, in particolare Canada, Giappone e Russia, sostenuti da Stati petroliferi come l'Arabia Saudita, hanno detto che non firmeranno un secondo periodo d'impegno di Kyoto, trincerandosi dietro al fatto che gli Usa non aderiscono al Protocollo e che giganti economici come Cina, India, Brasile e Sudafrica non hanno impegni vincolanti. Soprattutto gli Usa, per essendosi rifiutati sempre di aderire a protocolli vincolanti, dicono che non si faranno carico di obiettivi di riduzione di gas serra a meno che le economie emergenti non vengano costrette a fare altrettanto.

De Boer  spera che «Possa essere  raggiunto un risultato con il quale le parti non uccidano Kyoto, ma prendano gli elementi essenziali del protocollo per costruire in un unico accordo nuovo, con un approccio globale unitario. Questo  dovrebbe essere una sorta di protocollo "riformato", che riconosca ai diversi Paesi  che possano assumere impegni diversi. Sarebbe inoltre necessario decidere se gli obiettivi assunti da Paesi siano giuridicamente vincolante o meno. Se  si trovasse un accordo su un trattato riformato,  dopo la Cop 17 dovremmo vedere un qualche tipo di Durban roadmap su quando un tale trattato dovrebbe essere finalizzato e quali dovrebbero essere i suoi elementi chiave».

Torna all'archivio