[04/08/2011] News

La democrazia ancora vittima del gioco delle tre carte: stavolta mischia Alfano

«Siamo sgomenti: ma da quando in qua sono i mercati a scegliere il governo o a stabilire che debba andare a casa? E il popolo, ciascun cittadino, che ruolo ha nella vostra visione politica e del paese? Per noi sono espressione della gente, del popolo che rappresentano».

Un importante esponente politico si è finalmente sbilanciato in favore della preminenza della politica sulle leggi dei mercati: un segnale chiaro, si direbbe, per far capire a quella massa di pescecani che già stringe il cerchio ruotando affamata attorno ad un'Italia certo ancora non carcassa ma, si, caracollante.

Chi ha gettato la maschera dell'ignavia durante il discorso sulla crisi che non ci molla, tenuto ieri dal premier alla Camera ed al Senato, è stato il neo-segretario del Pdl, Angelino Alfano: in effetti, è davvero da sgomento. Quelle che a una prima occhiata giustamente appaiono come una strenua difesa dei valori democratici in tempi bui, proprio quando la democrazia viene svenduta a destra e manca come la più sfruttata delle meretrici, in bocca ad Alfano suonano come un'apologetica di infimo livello, dove neanche un dato concreto sta alla base delle chiacchiere sparate al vento. Non per alzare gli scudi contro valori civili condivisi, ma semplicemente per opporre un diniego ad un'apatica opposizione che chiede all'attuale governo italiano di centrodestra di dimettersi. Invano, ovviamente.

E nonostante la credibilità zero di chi afferma ciò, è lecito chiedersi: da quando in qua sono i mercati a decidere negli affari democratici? Da quando non vale più il motto "una testa, un voto", sostituito dal più moderno "un euro, un voto"? Sarebbe l'ora che la politica (e di riflesso i cittadini) riprendesse le redini del gioco. Andrebbe però forse ricordato come sia stato finora la regola, per loro e - certo - non solo, genuflettersi con voluttà ad ogni schiocco di dita proveniente dai tanto vituperati mercati finanziari.

Dalle cronache non risulta sia stata un'altra la coalizione che è stata eletta con una "porcata" (cit. Calderoli) di legge elettorale - sempre in nome della politica "espressione della gente", evidentemente - per poi essere trascinata per tutto il corso della legislatura dai moti provocati dalla crisi, motivando i più iniqui sacrifici (la manovra recentemente approvata ne è un esempio lampante) al grido "i mercati lo chiedono!", preoccupandosi più della loro fiducia che di quella dei cittadini.

Prima di ergersi a paladini della democrazia servirebbe dunque rafforzare la memoria a breve termine. "Democrazia", è evidente, è una parola ormai ultra-inflazionata, che annaspa nel mare magnum dei modi di dire di cui l'Italia è ricca, come "rosso di sera, bel tempo si spera" o, meglio, "chi la fa, l'aspetti": viene sbandierata ai quattro venti senza più nascondere alcuna consistenza dietro le dieci, semplici lettere che servono per pronunciarla. Un coniglio dal cappello, insomma, per ammansire l'inquietudine delle folle.

Nel frattempo, tanto per fare di nuovo (vedi link) un po' di pubblicità al senso civico tipicamente nord europeo, la bozza della nuova Costituzione partecipata, sviluppata col contributo di qualsiasi cittadino islandese abbia voluto sobbarcarsi quest'onere (e quest'onore), è stata presentata solo pochi giorni fa al presidente del Parlamento dello Stato insulare. Il processo politico ai massimi livelli di democrazia partecipata messo in campo dagli islandesi prosegue, e lascia ancora a bocca aperta il mondo (e gli italiani in particolari, abituati a confrontarsi quotidianamente con una politica d'avanspettacolo).

Certo, 350mila abitanti - ed una cultura, oltre ad uno status geopolitico profondamente diverso dal nostro - sono un po' pochini per fare un paragone col Bel paese, ma con le parole di Hermann Scheer (il celebre politico tedesco scomparso lo scorso anno, pioniere per un'economia alimentata ad energia rinnovabili) «chi non ha visioni, non dovrebbe far politica». Gli italiani, che per antonomasia sono poeti, potrebbero dunque forse cercare una loro personale ispirazione da tale visione: in tempo di crisi, la speranza rimane - come sempre - il "bene rifugio" sul quale fare affidamento.

Quasi dimenticavamo. C'è stato anche un discorso del premier, anzi due, alla Camera e al Senato. Tanto vaghi quanto insignificanti. Buoni per preservare l'apparenza e far riaprire stamani la borsa di Milano con un rimbalzo (+1,81%) che in meno di un'ora si era però già dissipato, in attesa dell'esito dell'incontro con le parti sociali, iniziato alle 11 sulla scorta di un documento condiviso su cinque punti fondamentali sui quali operare subito le riforme: fisco, costi politica, municipalizzate, infrastrutture ed energia.

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