[01/08/2011] News

La sempre pił complessa banalitą del male: da Eichmann a Breivik, andata e ritorno

A metà anni ‘90 il neurologo e saggista portoghese Antonio Damasio diede alle stampe un testo rimasto celebre, "L'errore di Cartesio", dove si espone l'opinione per cui l'abbaglio preso dal grande matematico e filosofo francese stia proprio nella drastica separazione della sfera dell'emozione da quella dell'intelletto, da lui celebrata: una dicotomia che, una volta avviata, ha caratterizzato fortemente il modo di pensare europeo e di tutto l'occidente.

Nonostante questa netta divisione rimanga una condizione puramente teorica (e neanche auspicabile) per l'uomo comune, esistono individui nei quali, per loro sfortuna, è possibile analizzare empiricamente le conseguenze di un tale e sciagurato colpo di cesoia. Non a caso tali soggetti sono classificati come casi medici da curare, etichettati come "pazienti ventromediali": persone che, una volta subito un danno cerebrale, non hanno intaccate le loro potenzialità logico-deduttive, ma mostrano un'incapacità di provare ed elaborare le emozioni.

Potendo fare affidamento in modo esclusivo su una capacità di scelta razionale - e riducendo dunque il tutto a una scelta costi-benefici (tanto cara agli economisti) - risultano in definitiva dei perfetti idioti sociali.

L'avvocato di Anders Behring Breivik, l'autore della strage che ha recentemente sconvolto la Norvegia ed il mondo intero, chiede che il suo cliente venga sottoposto ad una perizia psichiatrica, adottando una strategia che possa forse portare al riconoscimento della sua incapacità d'intendere e di volere. «Tutta la vicenda indica che lui sia folle - afferma Lippestad, il legale. Breivik crede di essere in guerra, una guerra destinata a proseguire, e sostiene che il resto del mondo, in particolare quello occidentale, non comprende il suo punto di vista».

Soprattutto, anche ai fini del nostro ragionamento, «non mostra alcun segno di pietà per le vittime».

In effetti, una delle caratteristiche tipiche di uno psicopatico narcisista (Breivik) sta proprio nell'alienarsi da quella che rimane una delle caratteristiche distintive della natura umana, la capacità di provare empatia verso altri esseri viventi. Un'incapacità di immedesimarsi nelle altrui emozioni, di far propria la sofferenza dell'altro, un tratto altrimenti comune nei grandi mammiferi e che raggiunge il suo picco proprio nella philia di cui l'uomo è capace.

La pazzia, fondamentalmente, si intravede però nelle teorie che hanno spinto Breivik a fare quella, portandolo al tempo stesso a credere di ergersi a paladino di una causa giusta, la necessaria incarnazione di ariano crociato per l'umanità tutta.

Se sicuramente quello dell'estremista cristiano di destra Breivik rimane un delirio di onnipotenza di una sorta di Giovanna d'Arco del male, non è possibile tacitare lo spontaneo affiorare delle storiche parole di Hanna Arendt, che nel suo "La banalità del male" affermò come uno dei più grandi problemi (risolti) che il nazismo si trovò ad affrontare stava nel «soffocare la pietà istintiva, animale che ogni individuo normale prova di fronte alla sofferenza fisica degli altri».

Non è infatti possibile crogiolarsi nella magra consolazione che il nazismo, con tutte le sue conseguenze, sia stato solo un parto della pazzia. Anzi. Zygmut Bauman, in "Modernità ed Olocausto", è riuscito ad inquadrare in modo piuttosto convincente il fenomeno del nazismo non come un'aberrazione della moderna società civile della quale ci vantiamo, ma una sua possibile e naturale ramificazione.

Il contesto nel quale si è dipanato l'orrore norvegese, è chiaro, è molto diverso da quello che ha visto affiorare il dramma dell'Olocausto. Non si vuole qui presagire un'imminente, nuova alba di una era di totalitarismi, anche se non possiamo mai permetterci di abbassare la soglia di attenzione in tal senso, specialmente quando - come adesso - alcune similitudini storiche non mancano rispetto agli anni che stesero il tappeto rosso all'ascesa del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori.

Al tempo, il sistematico reiterarsi della violenza verso i "diversi" - omosessuali, pazzi, ebrei, dissidenti politici - compiuto con l'indispensabile avvallo dell'autorità e tramite un processo di continuo scarica barile delle responsabilità reso possibile da una società burocratizzata all'eccesso, permise alla maggioranza della società civile tedesca (e non solo) di chiudere entrambi gli occhi davanti alle disumanità naziste, che venivano perpetrate senza significativi rimorsi di coscienza.

Queste condizioni, almeno per il momento, non si possono riscontrare nella società occidentale nella quale attualmente viviamo: la banalità del male, più che un fenomeno di massa, si ritrova ora negli atti folli di un singolo, rifiutati e condannati dal resto della comunità.

I tessuti sociali nei quali siamo invischiati nascondono però, nuovamente e comunque, il seme dell'elemento cardine sul quale si poté costruire l'impero dell'orrore in camicia bruna: un atomizzazione sociale degli individui, con il relativo distacco "del se dall'altro" in quanto essere umano, con i suoi bisogni e le sue emozioni. L'abolizione della cosiddetta Regola d'oro, insomma, l'empatico "agisci verso gli altri in modo che gli altri possano agire nello stesso modo verso chiunque".

Il primo passo che intelligentemente compirono i nazisti prima di procedere con l'eliminazione fisica degli ebrei (che apparì poi come conseguente e logico continuum del percorso intrapreso) fu rinchiuderli in ghetti, lontani dagli occhi e dal cuore dei cittadini ariani. Come allora, quando la propaganda nazista apostrofava gli ebrei con epiteti dispregiativi (famoso l'accostamento insistente con gli scarafaggi), chi è "diverso" - l'immigrato, il consumatore non compulsivo(!) - viene non solo sbeffeggiato, ma si cerca di inquadrarlo come "altro" rispetto al resto dei cittadini, al resto della massa. Viene isolato: una non-persona, indegna della più elementare compassione.

Più che da Breivik, è necessario guardarsi dai suoi maestri, quelli citati in chiare lettere nel suo manoscritto da 1500 pagine, e che comprendono pure, va detto, partiti che ultimamente fanno faville nel nostro Paese. Perché in un mondo sempre più complesso non si torni ad una banalità del male, con tanti piccoli Eichmann come vicini di casa, dove già ora giriamo colpevolmente la faccia davanti alle angherie che ci circondano, appena fuori dalla cerchia degli affetti più cari, l'ultimo baluardo da difendere strenuamente rimane, come sempre, la nostra umanità.

Torna all'archivio