[25/07/2011] News

Diseguaglianza e cigni neri

Questo articolo č stato pubblicato su "Página 12" il 23 luglio 2011 con il titolo "Desigualdad"

Esiste un punto di vista "turistico" sull'economia degli Stati Uniti e dell'Europa che disistima l'esistenza di una profonda ineguaglianza in queste potenze mondiali. Il piacere di camminare per città di Paesi sviluppati, con i loro imponenti edifici, auto moderne ed infrastrutture urbane efficienti, con la collaborazione culturale di  Hollywood che ha offerto al mondo il "sogno americano", ha costruito l'idea di società integrate e di una dinamica ascesa sociale.

La crisi che è scoppiata nel 2008, e che non è ancora cessata, ha permesso di sollevare il velo sulla situazione lavorativa, sociale e di distrubuzione del reddito in queste economie. Un artícolo pubblicato sul Financial Times spiega che lo statunitense medio guadagna lo stesso, in termini reali, dal 1975; che le entrate medie delle famiglie giapponesi, dopo aver pagato le imposte, sono scese dal decennio finito nel 2005; che i salari in Germania si sono ridotti negli ultimi 10 anni. Questo ciclo di deterioramento dei redditi  reali dei lavoratori in queste economie mature è stato dissimulato dall'aumento del credito, fondi canalizzati dal sistema finanziario che hanno compensato la perdita del potere di acquisto del salario. In questo modo, le famiglie hanno strutturato un budget di spesa superiore ai loro redditi, un sistema che ora è in gravi guai per la fase recessiva di quelle economie, i fallimenti bancari, lo scoppio della bolla speculativa del credito, il monumentale indebitamento statale e delle famiglie e l'aumento della disoccupazione.

L'acuirsi della disuguaglianza è oggi una delle caratteristiche più notevoli dei Paesi sviluppati. Durante il período di predominio delle politiche keynesiane e della creazione dello Stato del Benessere, iniziato per uscire dalla Grande Depressione degli anni ‘30 ed ampliato negli anni del dopoguerra, si ridusse il divario tra gli estremi della piramide dei redditi. Furono i decenni di minore diseguaglianza, un processo che iniziò ad invertire con l'avanzata delle polítiche neoliberali e dell'egemonia della finanza sulla produzione. Questo deterioramento non si è riflesso in tutta la sua dimensione per lo sviluppo dell'economia del debito, cho ora è ormai a messa a nudo. Il reddito medio dei lavoratori statunitensi si è mantenuto in stagnazione con un prodotto interno lordo cresciuto in modo sostenuto. Si sa che l'evoluzione della ricchezza procapite di un Paese non permette di conoscere la sua distribuzione e negli Stati Uniti è aumentato il Pil, però gran parte dell'incremento delle porzioni di questa torta dei redditi è in mano ai gruppi con i maggiori patrimoni. Nello stesso articolo del Financial Times si spiega che l'1% dei nordamericani con i redditi più alti accumulavano l'8% del totale della ricchezza nel 1974, passando ad accaparrarsi il 18% nel 2008.

Un rapporto pubblicato dal Boston Consulting Group, menzionato dall'economista Carlos Weitz nel supplemento Cash, indica che meno dello 0,002% della popolazione mondiale accumula più di un terzo della ricchezza esistente in tutte le nezioni. Durante il 2010 solo 103.000 persone concentravano il 36,1% del patrimonio del pianeta. Nella rivista World Wealth Report si evidenzia che gli Stati Uniti capeggiano questa  elite, con circa 40.000 ricchi che si accaparrano guadagni per 30 milione de dollari ognuno. Questa tendenza all'ampliamento del fossato della diseguaglianza ha portato il giornalista e storico Gregory Elich a dire che la potenza mondiale si incammina verso "un modello del Terzo Mondo". Nel documento "Desigual batalla en EE.UU" precisa che stiamo assistendo ad una implacabile guerra di classe dall'alto e che questo modello è costituito da "Una enorme ricchezza e privilegi per i più ricchi e disoccupazione, calo dei salari e servizi sociali inadeguati o inesistenti per il resto della società". Negli Stati Uniti più del 9% della popolazione è disoccupata, tasso che si mantiene a questo livello da quasi due anni. Elich sottolinea che se si sommano i lavoratori scoraggiati ed i sottoccupati  attivi, che cercano di migliorare le loro condizioni materiali, quasi un sesto della forza lavoro si trova in condizioni precarie. La disoccupazione tra i giovani, latinos ed afroamericani è ancora più grave, con un tasso di circa il doppio. Elich osserva che «Tuttavia, i legislatori non hanno nemmeno pensato ad un programma per il lavoro», al contrario «La tendenza è stata quella della riduzione di tagliare i benefici nel momento di maggiore necessità, allo stesso tempo si esigevano tagli alle imposte per i ricchi».

Questa tensione è quella che si è espressa nel negoziato tra Casa Bianca e Congresso degli Stati Uniti per l'aumento del límite del debito a 14,3 miliardi di dollari. I repubblicani, sempre più sotto l'influenza dei gruppi più conservatori riuniti nel cosiddetto Tea Party, propongono una forte riduzione del debito pubblico nelle aree sociali. Intanto, sono riusciti ad approvare alla Camera dei Reppresentanti la proposta conosciuta come "cut, cap and balance", che eleva il tetto dell'indebitamento a 2,4 miliardi di dollari, in cambio di una riduzione di 111.000 milioni di dollari nel bilancio federale dell'anno fiscale che inizia il primo ottobre, elevando i tagli a  6 miliardi di dollari durante il prossimo decennio. Questo piano cerca di smantellare la rete di protezione sociale  con una modifica profonda del sistema delle pensioni e dei programmmi della sanità par anziani e famiglie al di sotto della soglia di povertà. Questo piano non verrà approvato al Senato, però in questa corsa contro il tempo per evitare il default parziale del  2 di agosto, l'amministrazione di Barack Obama ha visto cadere il suo obiettivo di aumentare le tasse ai ricchi, così come ad attività molto redditizie, come quelle petrolifere, per migliorare i conti fiscali. Di fronte ad un orizzonte inquietante, Obama ha convocato i leader dei gruppi democratici e repubblicani per raggiungere un accordo.

La distribuzione regressiva del reddito, con i leader polítici intrappolati dagli interessi del potere economico nel contesto di una crisi che acutizza le tensioni sociali, non è esclusiva degli Stati Uniti. Un recente rapporto dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) mette in guardia aull'ampliamento del divario dei redditi in Europa tra la metà degli anni '80 e il  2010. La diseguaglianza si è radicata in 17 dei 22 paesi di quel continente. In quel documento si sottolinea che anche le nazioni con maggiore  equità, come Danimarca e Svezia, non possono eludere questa tendenza all'incremento della disuguaglianza. Questo processo conosce la sua origine nella frammentazione ed eterogeneità del mercato del lavoro.

Una ricerca realizzata dal Banco Central de la República Argentina illustra questa dinamica della disuguaglianza, che pesa sui redditi, in una serie di dati su produttività e salari reali all'ora,  per un lasso di tempo dal 1990 al 2009, nei Paesi sviluppati (Usa, Germania, Giappone e Gran Bretagna). Il risultato è che gli incrementi di produttività sono trasferiti principalmente al filone dei benefici per gli imprenditori, con scarsa o nessuna incidenza nel miglioramento del salario reale dei lavoratori. Il divario maggiore si osserva negli Stati Uniti, con un índice base 100 del 1990 hanno raggiunto quasi 250 al culmine della produttività, mentre il salario reale si fernato a 120.

Il linguaggio applicato dal sapere convenzionale in materia economica orienta a pensare che le crisi sono provocate da fenomeni naturali o causate da eventi imprevisti, che chiamano "Cigno nero". Nascondono che  la diseguaglianza, l'approfondirsi di una distribuzione del reddito regressiva, è la base per comprendere l'attuale debacle delle economie centrali.

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