[12/07/2011] News

Quando la caccia ai profitti strizza l’occhio ai “rating sostenibili”

Tra le pagine dell'ultima edizione de "Il Sole 24 Ore plus" spunta l'interesse sempre più spinto che alcuni investitori cominciano a riservare alle attività giudicate come sostenibili, ritenute un approdo sicuro da inserire nel proprio portafoglio che, come si sa, è bene diversificare per tutelarsi dalle bizzarie del mercato.

A conferma della sapienza oracolare della quale sono investiti i giudizi di rating, nel pezzo del Sole l'Ecpi - società milanese pioniera in Italia in materia di rilascio di rating basati sui criteri di sostenibilità -  conferma che, negli ultimi quattro anni, il 70% delle aziende con un rischio di credito che era stato valutato come "relativamente basso" secondo criteri di rating puramente economici è invece fallito. In questa trappola non sembra siano però caduti quei rating che, come quelli di Ecpi, includono fattori ricompresi nell'acronimo Esg. Ovvero enviromental, social, governance e che quindi valutano il rischio ambientale, l'impatto sociale e la struttura di corporate governance delle attività analizzate

La presenza sul nostro territorio di Ecpi non basta però far spiccare il nostro Paese nella lista di quelli dove gli investitori sono più attenti ai cosiddetti rating sostenibili; persino la Cina ci è davanti. Gianluca Manca, referente per la sostenibilità di Eurizon Capital, giudicata da Ecpi come uno degli interlocutori italiani più attenti al tema, ammette che gli indici internazionali "sostenibili" non mostrino una superiorità univoca rispetto ai panieri tradizionali, ma considera necessario ‹‹presidiare questo settore, nonostante vi sia ancora poca consapevolezza sull'importanza della sostenibilità in ambito finanziario e, nonostante il passare degli anni, la formazione dell'opinione pubblica su tali argomenti non sia cresciuta abbastanza››.

All'annuncio della possibile, futura gloria dei rating sostenibili come timone per la direzione degli investimenti nei mercati finanziari si distingue con difficoltà se il suono che rimbomba nelle orecchie sia la carica "dei nostri" che si avvicina, oppure soltanto qualcosa di più che un semplice rumore di sottofondo; è sicuramente una buona notizia che Eurizon scelga i titoli su cui investire ‹‹in base a tre criteri: esclusione ex ante (settori come armamenti, gioco d'azzardo, nucleare, ecc.); best in class (le migliori nei settori "controversi", ma imprescindibili per lo sviluppo economico) ed utilizzando un comitato di sostenibilità››, e ci si augura che - specialmente in un momento la finanza-terminator è sempre sulla cresta dell'onda - quanti più investitori possibili decidano di seguire il suo esempio, e muovere i primi passi verso una prosecuzione della loro attività che sia davvero sostenibile.

Ciò che non viene mai intaccato, però, rimane la logica di fondo: perché scegliere "investimenti sostenibili"? Perché il giudizio risulta complessivamente migliore, e dunque i profitti più sicuri. Non sarebbe il caso di sostenere un modus operandi diverso, che non veda nella sola caccia ai profitti l'unica bussola possibile? Tralasciando l'esempio dei giocatori di borsa incalliti, per i quali l'appellativo di "giocatore" - d'azzardo - risulta particolarmente adatto, nonostante venga data loro la possibilità di influenzare i mercati e le economie mondiali coi loro stessi balocchi, a rientrare nel segmento retail sono quei cittadini e quelle famiglie che cercano rifugio nei miraggi della finanza e dei giganti costituiti dai fondi pensione, cercando di far fruttare i risparmi di una vita, delusi dai rendimenti ormai ridotti all'osso dei depositi bancari.

Che cosa succederebbe se, togliendo per un attimo dalla scena il solo profitto economico a breve termine, a questi pesci piccoli della finanza fosse data la possibilità di mettere insieme i propri risparmi convogliando le risorse raccolte per investire direttamente sul proprio territorio? Si legge sempre più spesso di enti locali sovraddebitati e ingabbiati nelle maglie di strumenti finanziari sempre più complessi; se questi stessi enti locali, partendo dai comuni, chiedessero ai propri cittadini di finanziare direttamente con i loro risparmi i servizi da offrire, dando anche la parola sulla priorità da dedicare alle varie voci di spesa, emettendo una sorta di bond legati al territorio, potrebbero liberarsi da quelle maglie fraudolente ed offrire al contempo ai propri cittadini una qualità della vita migliore, anziché un credito (spesso misero) in banca.

Quel manifesto per i beni comuni proposto su queste stesse pagine per un'Europa migliore sarebbe lecito ed auspicabile aspettarselo anche per un'Italia, per dei comuni, province e regioni migliori, e si potrebbe raggiungere togliendosi le bende del profitto a tutti i costi da davanti gli occhi, cambiando le aspettative che ognuno (o quasi) di noi crede siano le uniche possibili verso le quali destinare le risorse che possiede.

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