[11/07/2011] News

Tempi duri per il biodiesel in Europa: troppo forte l'impatto sul clima. Per l'ambiente meglio l'etanolo

Ieri Charlie Dunmore sulla Reuters svelava in esclusiva gli ultimi risultati di uno studio commissionato dall'Ue sui biocarburanti che potrebbero rivelarsi molto imbarazzante. Secondo Dunmore «l'industria del biodiesel europeo potrebbe essere spazzata via dai piani dell'Ue per affrontare gli effetti collaterali indesiderati della produzione di biocarburanti, dopo che gli studi hanno mostrato pochi benefici per il clima».

I dati contenuti nei 4 documenti dei quali è entrata in possesso la Reuters non sono del tutto sconosciuti, ma dimostrano che l'Europa è diventata leader mondiale nel settore, con un'industria del biodiesel da 13 miliardi dollari, cresciuta grazie ad una decisione politica presa a Bruxelles nel 2003 per promuoverla. Ma queste certezze politiche potrebbero essere rimesse in discussione dalle rivelazioni sugli effetti indiretti del biodiesel che annullerebbero gran parte dei suoi benefici. Non a caso Tillous-Borde, a capo del gigante francese dei semi oleosi Sofiproteol, che è anche il più grande produttore europeo di biodiesel, ha detto alla Reuters: «Questo studio potrebbe aprire la strada per la scomparsa del settore biodiesel europeo».

L'obiettivo dell'Ue è quello di aumentare l'utilizzo dei biocarburanti da autotrazione al 10 per cento entro il 2020, ma da due anni sta studiando i danni indiretti causati all'ambiente. Secondo quanto scrive Dunmore, questo target Ue «può condurre a un rilascio una tantum di circa mille megatonnellate di anidride carbonica, più del doppio delle emissioni annuali della Germania».
Per l'Ue sarà molto difficile ammettere che la sua politica energetica "virtuosa" si è dimostrata sbagliata. La Reuters dice che la Commissione europea ha respinto una sia richiesta di libero accesso alle informazioni sugli ultimi studi, sostenendo che «l'interesse pubblico della divulgazione è insufficiente».

Ma i documenti sono trapelati lo stesso. In una valutazione di impatto preparato per la commissione Ue si legge: «Questo avrebbe implicazioni significative per l'attuale industria del biodiesel dell'Ue. La redditività degli investimenti esistenti potrebbero essere interessate a lungo termine, dato che la disponibilità di materie prime convenzionali per il biodiesel sarebbe estremamente ridotta».

La Commissione europea è molto preoccupata perché i risultati di questi rapporti potrebbero avere un forte impatto sugli investimenti di multinazionali energetiche come la Bp o la Shell sulle fonti low carbon e invece dare maggiore impulso alle imprese che stanno lavorando allo sviluppo dei biocarburanti di nuova generazione, da prodotti non agricoli, come la danese Novozymes, che produce enzimi, e la spagnola Abengoa.

Un secondo rapporto, fornito nel novembre 2010 all'Ue dalla Commission workshop of international biofuel experts, che analizza la situazione a livello mondiale, avverte che l'aumento della produzione di biocarburanti innescata dagli obiettivi dell'Ue potrebbe intaccare gli stock alimentari e aumentare la fame nel mondo: «Qualsiasi calo dei consumi può avere un grave impatto per le famiglie che sono già malnutrite».

Dunmore scrive nella sua inchiesta: «I biocarburanti una volta erano visti come la pallottola d'argento per contenere le emissioni dei trasporti, sulla base di una teoria che emettono solo tanto carbonio quanto ne assorbono durante la crescita. Ma questo è stato minato da un nuovo concetto noto come "indirect land-use change" (Iluc), che gli scienziati stanno ancora tentando di quantificare con precisione. In sostanza, questo significa che se si prende un campo di grano e si passa al raccolto di biocarburanti, qualcuno, da qualche parte, avrà più fame a meno che quelle tonnellate di grano mancanti non crescano altrove».

Le coltivazioni per compensare il cibo trasformato in biocarburanti teoricamente potrebbero essere realizzate ovunque, ma c'è un problema: recenti ricerche dimostrano che la maggior parte dei nuovi terreni agricoli, sembra addirittura più dell'80 per cento, sia stata realizzata attraverso la deforestazione e gli incendi, provocando così emissioni dirette e indirette (la deforestazione) in atmosfera «in teoria sufficienti ad annullare qualsiasi beneficio per il clima avrebbero dovuto portare i biocarburanti», scrive la Reuteres. Il rapporto prodotto dal workshop scientifico di novembre è chiaro: «Gli esperti hanno unanimemente convenuto che, anche se le incertezze sono elevate, c'è una forte evidenza che l'effetto Iluc è significativo».

Anche il terzo rapporto dell'International food policy research Institute (Ifpri) per l'Ue sottolinea che «gli effetti dei cambiamenti nell'uso del suolo riducono quasi della metà le aspettative dei guadagni del passaggio dai ai biocombustibili rinnovabili, fino a scomparire». L'Ifpri spiega come è stata realizzata la ricerca: «L'obiettivo primario di questo studio è di analizzare l'impatto di eventuali cambiamenti nelle politiche commerciali dei biocarburanti sulla produzione agricola mondiale e le prestazioni ambientali della politica dei biocarburanti dell'Ue concretizzata nel Red. Lo studio pone particolare attenzione agli effetti Iluc e alle emissioni loro associate, alle principali materie prime utilizzate per la di biocarburanti di prima generazione».

Questo è l'unico studio, dei quattro avviati dalla Commissione, che utilizza un modello global computable general equilibrium (Cge) per stimare l'impatto delle politiche sui biocarburanti, in questo caso una versione ampiamente modificata del modello Mirage esistente. La primaria tra le principali innovazioni metodologiche introdotte nel modello è la modellazione della domanda di nuova energia che permette di sostituibilità tra le diverse fonti di energia, compresi i biocombustibili. Il database Global Trade Analysis Project (Gtap) è stato ampliato per identificare separatamente l'etanolo (con quattro sottosettori), il biodiesel, cinque ulteriori settori delle materie prime del settore agricolo, quattro settori degli oli vegetali, i fertilizzanti, i settori dei trasporti e del carburante. Questa estensione è stata introdotta con strumenti innovativi per garantire la coerenza sia per i valori che in volume per i settori di interesse. Il modello è stato inoltre modificato per tener conto dei co-prodotti generati nei processi di produzione di etanolo e il biodiesel e del loro ruolo come input per il settore zootecnico. E' stata anche introdotta la modellazione del fertilizzante per consentire la sostituzione del suolo all'interno dei metodi di produzione agricola intensivi o estensivi.

Infine un'altra importante innovazione è l'introduzione di un modulo di uso del suolo che consente la sostituibilità tra le classi di terreni, classificati secondo le zone agro-ecologiche (Aezs), e la possibilità di estensione del territorio. 

«Abbiamo valutato le emissioni di gas serra (concentrandosi sulla CO2) associate ai cambiamenti i diretti e indiretti dei suoli prodotti e producendo un modello per il 2020 - spiegano i curatori del rapporto - e separatamente abbiamo quantificato l'Iluc marginale per ciascuna coltivazione di materie prime».

Da un quarto documento trapelato è però venuto fuori che il biodiesel asiatico da olio di palma asiatico, quello da semi di soia de sud America, quello da colza dell'Ue, avevano tutti un maggiore impatto complessivo sul clima rispetto al gasolio tradizionale.

Nusa Urbancic del Green transport campaign group T&E ha detto alla Reuters che «questi rapporti dimostrano chiaramente che gli scienziati sono convinti che l'attuale politica sui biocarburanti causa indirettamente notevoli danni ambientali. L'Ue deve smetterla di nascondere il problema sotto il tappeto».

Ma molte imprese del biodiesel, che rappresenta circa il 80% di tutti i biocarburanti, dicono che ci sono ancora troppe incertezze scientifiche per poter legiferare sulla materia: «Sarebbe del tutto contraddittorio agire sulla base dei risultati prodotti da un modello che si basa su un'ipotesi falsa e poco studiata» ha detto Tillous-Borde.

Ma dopo i risultati "semi-segreti" di 4 studi nel 2010 ed altri 3 nel 2011 gli scienziati propendono per concordare una chiara graduatoria della sostenibilità chiara, con il bioetanolo indicato come la scelta migliore per l'alto contenuto energetico negli impianti utilizzati per produrlo. Secondo il rapporto Ifpri «le materie prime per l'etanolo hanno un minore effetto sul cambiamento di utilizzo dei suoli che le materie prime del biodiesel: per l'etanolo la barbabietola da zucchero è quella con il minor coefficiente di emissione per utilizzo di suolo».

L'analisi d'impatto della Commissione europea lascia poche speranze al biodiesel: la domanda crollerà se la legislazione Ue sui biocarburanti prenderà in considerazione i suoi impatti indiretti. Per questo prevede un forte aumento della domanda di bioetanolo da cereali e canna da zucchero, così come per il biodiesel di ultima generazione prodotto dalle alghe: «La capacità di produzione di etanolo dovrebbe essere aumentato in modo significativo per compensare l'aumento della domanda. Questo spostamento della domanda si rifletterebbe sui mercati delle commodities, spingendo il prezzi degli oli vegetali e in misura minore con un aumento del costo dello zucchero e dei cereali».

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