[06/07/2011] News

Rapporto cave in Italia: circa 6mila attive, 15mila abbandonate

Nonostante la crisi, record italiano nell'Ue per consumo procapite di cemento (e al sud si cava gratis...)

In Italia si discute di una durissima manovra economica e si ipotizza nel rilancio dell'edilizia uno dei modi per uscirne ma nessuno sembra interessarsi dell'attività estrattiva, un settore dove, secondo il rapporto "Cave 2011" di Legambiente «i guadagni sono miliardari a fronte di pochi euro lasciati al territorio».

Gli ambientalisti sottolineano che «perfino in un periodo di crisi dell'edilizia, l'Italia, con oltre 34 milioni di tonnellate e una media di 565 chili per ogni cittadino, continua a detenere un vero e proprio primato europeo nel consumo di cemento». Siamo davanti non solo alla locomotiva tedesca, con 301 kg pro-capite, ma anche alla Spagna, che nel cemento e nella speculazione edilizia ha seppellito la sua economia, che arriva a 532 kg e lontanissimi dalle virtuose Gran Bretagna (159 kg) e Olanda (257) e anche dalla Francia (313).

Secondo il rapporto, presentato oggi a Roma da Edoardo Zanchini, responsabile urbanistica di Legambiente, Gabriele Nanni, ufficio urbanistica Legambiente, Alessio Velo, di Eco.Men, impresa che si occupa di riciclo di inerti provenienti dall'edilizia e Marcello Cruciani dell'Ance, «solo nel 2010 dalle 5.736 mila cave attive nel Bel Paese sono stati estratti quasi 90 milioni di metri cubi di inerti di cui circa la metà (43 milioni di metri cubi) in Lombardia, Lazio e Piemonte. Una ferita rilevantissima al paesaggio che riguarda 2.240 Comuni, a cui vanno aggiunte più di 13mila cave dismesse nelle regioni in cui esiste un monitoraggio, che arrivano facilmente a 15mila sommando quelle abbandonate di Calabria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia».

Legambiente ricorda che «In Italia a dettare le regole per l'attività estrattiva è ancora un Regio Decreto del 1927, mentre le Regioni, alle quali sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, non prestano la dovuta attenzione alla materia, mentre le entrate degli enti pubblici dovute all'applicazione dei canoni sono ridicole in confronto al volume d'affari del settore. Infatti, solo dalla vendita di sabbia e ghiaia (i materiali di minor pregio) i cavatori ricavano circa 1 miliardo e 115 milioni di euro l'anno che però fruttano alle Regioni neanche 36 milioni di euro di canoni di concessione. In media, infatti, nelle Regioni italiane si paga il 4% del prezzo di vendita degli inerti, e in alcune come Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna si cava addirittura gratis».

Zanchini ha detto che «dopo 85 anni serve finalmente una riforma del settore che ripristini regole, controlli e sanzioni e che adegui i vergognosi canoni, visto l'impatto che le cave hanno sui territori. Un ritorno alla legalità che vale in particolare nelle Regioni del Mezzogiorno dove l'attività di cava è assurdamente gratuita e dove il peso delle Ecomafie nell'intero ciclo del cemento è decisamente inquietante».

Secondo Legambiente sono particolarmente preoccupanti le situazioni di Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia e Piemonte. «Tutte Regioni che non hanno un piano cave in vigore. L'assenza dei piani è grave perché, in pratica, si lascia tutto il potere su dove, come e quanto cavare, in mano a chi concede l'autorizzazione. Per uscire da questa situazione, accanto a nuove regole, occorre puntare sull'innovazione perché l'attività estrattiva può diventare, come negli altri Paesi europei, un settore di punta della green economy che può fare a meno di cave puntando sul recupero degli inerti provenienti dall'edilizia. In pochi anni è possibile raggiungere risultati rilevantissimi attraverso l'obbligo di utilizzare materiali provenienti dal riciclo degli inerti edili da utilizzare al posto di quelli provenienti da cava per infrastrutture e costruzioni, visto che oggi hanno prestazioni assolutamente identiche».

I dati italiani diventano sconcertanti se paragonati ad altre realtà dei Paesi europei: «Mentre da noi siamo ancora al 10 per cento di materiali riciclati provenienti dall'edilizia - dice il Cigno Verde - in Germania si arriva all'86,3 per cento (erano al 17 nel 1999), in Olanda al 90, in Belgio all'87 e la Francia in 10 anni è passata dal 15 al 62,3».

Zanchini sottolinea che «l'innovazione è fondamentale a maggior ragione quando può avvenire in modo sostenibile come in questo settore dove il recupero degli inerti provenienti dalle demolizioni in edilizia può sostituire quelli di cava, come sta avvenendo in molti Paesi europei e che consente di avere molti più occupati e di risparmiare il paesaggio».

Il rapporto spiega che per una cava da 100mila metri cubi l'anno gli addetti in media sono 9 mentre per un impianto di riciclaggio di inerti della stessa dimensione gli occupati sono più di 12. Legambiente è convinta che «l'Italia in poco tempo può recuperare questo ritardo, che fa arricchire solo la lobby del cemento, scegliendo di seguire la strada intrapresa dai Paesi europei che intorno a una moderna gestione delle attività estrattive hanno creato un settore economico capace di legare ricerca e innovazione nel recupero dei materiali»

Zanchini concludendo ha evidenziato il nocciolo del problema: «L'enorme numero di cave in Italia dipende dal fatto che si paga poco o niente per cavare. Perché Tremonti e le Regioni non guardano a questo settore per recuperare risorse invece di toglierle alle fonti rinnovabili o agli enti locali? Copiando semplicemente dall'Inghilterra si potrebbero recuperare, ogni anno, quasi 300 milioni di euro da un'attività che ha un impatto enorme sul paesaggio italiano. In Danimarca dove da oltre 20 anni ci si è posti il problema di come ridurre le estrazioni da cava e promuovere il recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione, si arriva a far pagare 50 euro a tonnellata per il conferimento in discarica degli inerti, ossia 5 volte quanto si paga in media in Italia. Un meccanismo questo, che ha funzionato visto che oggi si fa ricorso per il 90 per cento di inerti riciclati invece che di cava. Nel già citato Regno Unito il canone di concessione è più di 6 volte quello richiesto in media in Italia. Legambiente chiede quindi di adeguare, in tutte le Regioni, il canone al prezzo medio che si paga oggi nel Regno Unito per l'attività di cava, ossia il 20 per cento. In questo modo, solo considerando sabbia e ghiaia, secondo un semplice calcolo si potrebbero ottenere risorse pari a quasi 268 milioni di euro, rispetto agli attuali 36 milioni. In Lombardia si passerebbe da 7 milioni di euro a 48, nel Lazio da 4,7 a 47, in Piemonte da 5 a 33, mentre in Puglia si avrebbero nuove entrate per 22 milioni di euro e in Sardegna per quasi 17 milioni».

Torna all'archivio