[04/07/2011] News

Taranto, la via (non percorsa) per il futuro dell’industria italiana

Domani è annunciata una giornata importante per il futuro dell'Ilva di Taranto, della città pugliese, dell'industria dell'acciaio e di quella italiana in generale. Infatti per il 5 luglio è convocata la Conferenza dei servizi che potrebbe rilasciare l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) allo stabilimento siderurgico per aumentare la produzione di acciaio fino a 15 milioni di tonnellate all'anno, dal massimo delle 10 attuali.

I vertici dello stabilimento Ilva (convocati tra l'altro oggi al ministero dell'Ambiente per una riunione ritenuta da molti irrituale) hanno grandi aspettative da questa partita, vista come opportunità per uscire definitivamente dalla crisi. Infatti tra il 2006 e il 2009 la produzione dell'acciaio in Italia è passata dalla stelle alle stalle, ma già nel 2010 si sono avuti segnali di ripresa generali e questo trend vale anche per Taranto. A fronte quindi di un dato abbastanza positivo in termini di produttività (pare non accompagnato da un incremento dell'occupazione, che anzi è diminuita, e quindi c'è da chiedersi quale sia la politica industriale dell'azienda), perdurano invece le preoccupazioni sul fronte della salute dei cittadini e sull'impatto ambientale.

 

La svolta in questo senso, in base ai dati disponibili, sembra proprio che non ci sia stata. A Taranto viene emesso oltre il 90% della diossina italiana e quasi il 10% di quella europea, le recenti analisi di Arpa Puglia e Noe (Nucleo ecologico dei carabinieri) non tranquillizzano affatto e manca uno studio epidemiologico serio per comprendere gli effetti sulla popolazione dell'attività industriale. Vedremo cosa emergerà dall'inchiesta in corso dove i vertici Ilva sono indagati, ma di fatto i cittadini non possono stare tranquilli. Agli amministratori locali, dalla Regione al comune, spetta un compito non facile e purtroppo ormai dagli anni '60 dello scorso secolo in  avanti non si è trovata "la quadra" tra sviluppo industriale e tutela dell'ambiente in senso lato.

 

Un Paese che aspira ad essere tra i più importanti al mondo, più volte lo abbiamo sostenuto, non può rinunciare alla grande industria ma non è possibile pensare che questa si realizzi a scapito della salute dei cittadini e con danni irreparabili all'ambiente. Una terza via è possibile (ma è necessario un cambio di paradigma): è quella tanto citata e poco praticata dello sviluppo sostenibile dove l'innovazione di processo e di prodotto riduce i consumi di materia ed energia e mitiga, fino a renderli ininfluenti, gli impatti ambientali. Questa è l'unica strada che le istituzioni a partire dal ministero dell'Ambiente hanno l'obbligo di  indicare, strada in cui il  privato oltre ai suoi interessi legittimi si impegna anche per l'interesse generale. In tal senso è necessario passare da un'analisi costi-benefici tipica delle aziende ad una che valuti i costi "effettivi" cioè le esternalità ambientali, sanitarie e sociali e dove il livello di partecipazione della comunità locale è più accentuato.  

 


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