[27/06/2011] News

La crisi finanziaria della Grecia e la crisi della democrazia in Europa (e nel mondo)

Ormai quotidianamente veniamo informati a colpi di flash news sui probabili o annunciati declassamenti per Stati, enti locali, imprese o chiunque si scorga attraverso il mirino ben puntato delle tre agenzie di rating (Moody's, Standard & Poor's, Fitch) che - come in uno scintillante monopolio tra i profeti del mercato in concorrenza perfetta - praticamente da sole misurano la capacità dei debitori di restituire i crediti ricevuti, esponendone i corpi inermi agli speculatori di turno, investiti del ruolo ufficiale di sciacallo.

Ma che cosa sta davvero succedendo? Amartya Sen, premio Nobel per l'economia del 1998, espone una visione condivisibile del problema sul Guardian*, almeno nei lineamenti generali: la crisi del debito greco, e non solo, risulta essere una ferita aperta alla paladina della democrazia, l'Europa, inferta con una stoccata più profonda proprio ad Atene, la culla che l'ha vista nascere.

‹‹L'Europa ha condotto il mondo nell'esercizio della democrazia - argomenta Sen - ed è preoccupante come i pericoli per la governance democratica provenienti dalla porta di servizio delle priorità finanziarie non ricevano l'attenzione che dovrebbero. Ci sono problemi profondi da affrontare, su come il governo democratico dell'Europa potrebbe essere minato dal ruolo enormemente accresciuto delle istituzioni finanziarie e delle agenzie di rating, che ora regnano liberamente su alcune parti del terreno politico europeo››.

Considerando il problema della priorità democratica (intendendo la democrazia come la necessità del "governo tramite la discussione"), Sen suppone di accettare il fatto che i potenti boss finanziari abbiano una comprensione realistica di "ciò che deve essere fatto"; questo rafforzerebbe il ruolo dell'attenzione dovuta alle loro voci, all'interno di un dialogo democratico. Ma questo non significa - conclude - concedere ad istituzioni finanziarie internazionali ed agenzie di rating il potere unilaterale di comandare governi democraticamente eletti.

Quando poi si considera come le diagnosi delle agenzie di rating non siano affatto voce di verità, come si è visto prima dello scoppio della crisi finanziaria negli Usa nel 2008 ("i titoli di Lehman Brothers sono sicurissimi, fidatevi"), ma nel caso voce d'interessi costituiti, e che i mercati - in particolare quelli borsistici - sono intrinsecamente incerti (altrimenti non si vede come si creerebbero gli agognati profitti), non si vede proprio chi abbia legittimato lo strapotere di tali agenzie di rating  a decidere della sorte di interi Paesi. Ma non sono solo le agenzie di rating che suscitano dubbi sulla loro legittimità d'azione: chi sta cerando di imporre, ad esempio, il draconiano piano di austerity che dovrà essere approvato dalla Grecia, ed a quale titolo per la democrazia? Chi ha deciso, a monte, i criteri da far rispettare?

Proprio a proposito di piani d'austerity, Amartya Sen suggerisce posizioni più morbide, ricordando la capacità della spesa a debito di diventare volano per una crescita economica altrimenti asfittica, che possa poi generare nuove, successive, entrate per le casse pubbliche, rilevando così una preferenza per la logica keynesiana de "nel lungo termine saremo tutti morti", che oggigiorno va di moda ignorare: ‹‹una troppo rapida diminuzione dei deficit pubblici attraverso la drastica diminuzione della spesa pubblica, legate ad esigenze di adeguatezza finanziaria, potrebbero uccidere la gallina dalle uova d'oro della crescita economica››. Non specifica quale crescita sia meglio auspicare, ma per stavolta sorvoliamo.

Per Sen, tra le radici della odierna lotta dell'Europa per la sopravvivenza sua e dell'euro sta anche il basso grado di integrazione politica ed economica tra i Paesi della zona euro, che hanno realizzato un'Europa come una ‹‹casa a metà››: hanno una moneta unica che non permette loro un'autonoma libertà di politica monetaria ed aggiustamento dei tassi di cambio, e neanche una struttura come quella degli Usa, dove l'integrazione è tale (e gli strumenti sono adatti) da potersi muovere molto più liberamente.

La risposta al problema, dunque, implica di nuovo un ripensamento ed una rivalutazione dei principi democratici, proprio nella terra dove la democrazia è nata: ‹‹riorganizzare la zona euro comporterebbe oggi molti problemi, ma questioni tanto difficili meritano una discussione altrettanto intelligente, piuttosto che permettere all'Europa di andare alla deriva trascinata da venti finanziari. Il processo deve iniziare col contenimento immediato del potere incontrastato delle agenzie di rating. Fermare la marginalizzazione della tradizione democratica d'Europa ha un'urgenza che è difficile esagerare. La democrazia europea è importante per l'Europa - e per il mondo››.

Torna all'archivio