[24/06/2011] News

Crisi greca, fame e finanziarizzazione dei mercati: non è bastato azzeccare l'analisi

Se si sbaglia l'analisi si sbaglia tutto. Ma si può anche azzeccare l'analisi e sbagliare lo stesso. Se lo si fa volutamente, allora c'è pure il dolo. Tutto questo per dire che c'è molto da preoccuparsi leggendo quanto emerge dai tentativi di salvataggio della Grecia, da quelli per evitare il rischio "contagio" ad altri Stati, e - non è altra cosa - dai risultati del primo G20 sull'agricoltura e alla luce della crisi del 2008.

Partiamo dal fondo: il crack finanziario di tre anni fa aveva fatto fare quadrato per una volta un po' a tutti gli economisti e policy maker mondiali sulla necessità di regole. Regole che dovevano, principalmente ma non solo, evitare la nascita di nuove bolle riducendo la finanziarizzazione dei mercati e il potere delle società di rating. La crisi Greca dimostra che nulla in questo senso è stato fatto, come ben spiega oggi Luciano Gallino su Repubblica: «La crisi greca è in primo luogo un'anteprima di quel che potrebbe succedere ad altri Paesi, Italia compresa, se i governi Ue non la smettono di subire le manovre del sistema finanziario, ivi comprese le agenzie di valutazione, e non provano sul serio a regolarlo, anche per evitare che ci piombi addosso tra breve una crisi peggiore di quella del 2008. Lo scenario comprende com'è ovvio il rinnovo potenziato di manovre speculative che i maggiori gruppi finanziari costruiscono scientemente per estrarne il maggior profitto possibile in forma di interessi e plusvalenze; il che implica, come insegnano i modelli di gestione del rischio, il far correre un rischio elevato non già ai gruppi stessi, bensì ai cittadini oggi greci, domani spagnoli o italiani. Ma comprende anche una spinta selvaggia alle privatizzazioni, che essendo condotte sotto la sferza della troika Ce, Fmi e Bce, consisteranno al caso in vere e proprie svendite di immensi patrimoni nazionali».

Si cerca insomma di risolvere le cose con gli stessi strumenti che hanno messo in crisi il sistema stesso. Come voler spegnere un incendio con un lanciafiamme insomma e la stessa cosa, ribadiamo che non è altra cosa, si vorrebbe fare con l'altro grande problema mondiale legato mani e piedi alla finanza: la fame nel mondo. Il G20 francese si era aperto con Sarkozy che, al di là delle reali motivazioni, chiedeva che si mettesse mano alla speculazione sulle materie prime alimentari per contrastare ed evitare futuri e nuovi assalti ai forni (leggi rivoluzioni nordafricane). Ebbene, come riporta oggi Antonio Tricarico sul Manifesto (ma si può leggere anche sugli altri quotidiani) la proposta della Banca Mondiale in questo senso è sconcertante. In collaborazione con la banca d'affari JP Morgan promuove infatti l'utilizzo di prodotti derivati finanziari tra i piccoli produttori e contadini dei paesi più poveri come unica vera soluzione per assicurarsi  contro le oscillazioni dei prezzi. Praticamente la soluzione alla speculazione che gli affama starebbe nel far loro «giocare al grande casinò finanziario mondiale comprando derivati su che tempo farà e come andrà il raccolto». Nessuna lezione imparata, quindi, nonostante analisi apparentemente chiara.

Si propone di fare ai poverissimi contadini dei Paesi in via di sviluppo più o meno quello che si è fatto fare alla working class americana con il mercato immobiliare. Il problema è che i "poveri" Usa si erano indebitati con le carte di credito, mentre i contadini africani ed asiatici dovrebbero partecipare al risiko finanziario con redditi che, quando va bene, oscillano tra i 2 e i 10 dollari al giorno.

Non si riesce davvero ad uscire, quindi, dalla finanziarizzazione esasperata dell'economia, anzi la si vuole pure rilanciare. Perseverare è diabolico eppure stupido, perché come greenreport nel suo piccolo tante volte ha cercato di porre il focus dell'attenzione, e come con più competenza il Sole24Ore ha portato avanti un'inchiesta di diverse settimane  sui rischi dei derivati, ieri Rampini ha evidenziato ancora una volta che il tutto è amplificato anche da un'informatizzazione che ha messo in scacco gli stessi governi già stretti nella morsa  della finanza e della globalizzazione e non hanno più idea di come governarla. Lo stato delle cose, infatti, ha creato una situazione dove le crisi dei mercati si propagano sempre più rapidamente e il rischio "contagio" è a livello della diffusione delle influenze invernali. Appena se ne comincia a parlare si è già a letto con 40 di febbre. «Quale ragione spiega l´aumento di frequenza nei casi di contagio, e la rapidità con cui si diffondono?- si chiedeva Rampini ieri su Repubblica -  La spiegazione sta nella libertà di movimento di tutti i fattori: merci, uomini e capitali. Più i mercati sono aperti, più è densa l´interconnessione ed è facile il contagio. La libera circolazione dei capitali è decisiva perché è la più estrema: basta un clic sul tasto di un computer, un ordine che parte da uno schermo di terminale Bloomberg a New York o Londra, una email da un investitore che sull´iPad invia istruzioni al proprio banchiere: e si spostano in frazioni di secondi capitali che seguono le pulsazioni istantanee della paura o della febbre di profitto, e generano movimenti di massa. Lo dimostrano, come controprova, i casi importanti di immunizzazione dal contagio che abbiamo visto all´opera nell´ultima grande crisi. Né la Cina né l´India sono precipitate nella recessione del 2008-2009; il Brasile l´ha subita per poco tempo e n´è uscito presto. Tutti questi giganti hanno una cosa in comune: l´adesione solo parziale alla libertà di movimento delle merci o dei capitali. La Cina non ha ancora adottato per la propria moneta un regime dei cambi pienamente convertibile, l´India conserva regolamentazioni e restrizioni sulle attività finanziarie, Brasile e India praticano forme di protezionismo occulto. Nella storia del contagio economico, anche queste dighe anti-contagio fanno riflettere: i vincitori della fase attuale di globalizzazione detengono qualche ricetta in fatto di vaccini».

L'Ue, quindi, è di fronte all'ennesimo bivio: o cambia modello di sviluppo e riduce progressivamente la finanziarizzazione dell'economia sperando di fare così da apripista e rilancia una nuova industria sostenibile in grado di far ripartire i motori dell'economia stessa, oppure resta in balìa delle onde e vive questa nuova era "new normal" che significa declino certo con bombola di ossigeno data dai migranti che, giova ricordarlo ai leghisti e purtroppo non solo a loro, danno solo all'Italia l'11% del Pil e 40 miliardi di euro di imponibile dichiarato.

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