[22/06/2011] News

Anche il "piccolo idroelettrico" ha i suoi limiti

Non ci sono pasti gratis in natura. Anche una fonte rinnovabile e leggera, come il "piccolo idroelettrico", se sviluppata senza controllo può causare enormi danni ambientali, in termini di eutrofizzazione, di produzione di metano, di distruzione del territorio. Lo affermano, in un articolo pubblicato sull'ultimo numero della rivista Renewable and sustainable energy reviews, Tasneem Abbasi e S.A. Abbasi due ingegneri ambientali del Centre for pollution control & environmental engineering, della Pondicherry University di Kalapet, Pondicherry, India.

Si tratta di un articolo davvero interessante. Per tutti i motivi che i due scienziati indiani pongono sul tappeto. Più uno.

C'è stata di recente in tutto il mondo una forte crescita di interesse per lo sviluppo del cosiddetto "small hydropower" , il piccolo idroelettrico. Definizione con cui vengono indicate le centrali che producono elettricità sfruttando la caduta per gravità dell'acqua con una potenza compresa tra 5 chilowatt (sufficiente ad alimentare una singola abitazione) e 10 megawatt di energia (sufficienti ad alimentare 2.000 abitazioni). I motivi dell'attenzione per questa fonte rinnovabile di energia sono essenzialmente due: la facilità d'impianto e il basso impatto ambientale.

Nulla da dire, sostengono gli Abbasi, sulla semplicità e comodità d'impianto di queste centrali. Ma il basso impatto ambientale è tutt'altro che dimostrato. Se guardiamo, infatti, non ai numeri assoluti, ma ai numeri relativi - ovvero all'inquinamento per unità di potenza prodotta - ci accorgiamo che il "piccolo idroelettrico" è tutt'altro che ecologicamente innocuo. Negli invasi prodotti dalle piccole dighe, infatti, si accumula una grande quantità di nutrienti, che finiscono per alterare l'equilibrio delle specie in un determinato ecosistema. Inoltre i sedimenti producono molto metano, un gas serra piuttosto potente. Infine, ogni centrale comporta la costruzione non solo di piccole dighe, ma anche di strade e infrastrutture. Insomma, a conti fatti, una medesima quantità di energia - mettiamo 1.000 megawatt - prodotta con il piccolo idroelettrico ha un impatto ambientale ben superiore a quella prodotta con una singola grande centrale.

Nessun problema se al "piccolo idroelettrico" si fa ricorso con parsimonia e oculatezza. Ma se viene usato in maniera massiccia, come si ha intenzione di fare in molti paesi (India compresa), la nuova fonte rinnovabile rischia di diventare un peso insopportabile per l'ambiente.
Dunque, sostengono i due indiani, usiamo questa fonte rinnovabile con intelligenza ecologica e non in maniera indiscriminata.

L'ammonimento, debitamente documentato, conferma che non esistono pasti gratis in natura. E che di questa massima deve tener debito conto chi si pone il problema dell'impatto umano sull'ambiente.

Tuttavia c'è un ulteriore insegnamento che ci viene dalla lettura dell'articolo che Abbasi e Abbasi hanno pubblicato su Renewable and Sustainable Energy Reviews. Chi oggi propone un cambiamento del paradigma energetico - dalle fonti fossili e produttrici di carbonio alle fonti rinnovabili e "carbon free" - ha un approccio diverso ai fautori delle fonti energetiche classiche. Avanza la sua proposta senza alcun trionfalismo. Con una certa maturità. Cercando non solo di decantarne i vantaggi, ma anche di ravvisarne i limiti. E dimostrando, in questo modo, di avere un'elevata cultura scientifica, energetica ed ecologica. Non è poco. 

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