[31/05/2011] News

Ritorno a Yucca Mountain

L'incidente alla centrale di Fukushima Daiichi, in Giappone, con la dispersione nell'ambiente di radioattività proveniente anche dal combustibile usato depositato in una vasca di raccolta accanto al reattore n. 4, ha riacceso la discussione, negli Stati Uniti, sulla necessità di allestire un sito geologico definitivo per conservare in sicurezza le 65.000 tonnellate di scorie radioattive prodotte in alcuni decenni dalle centrali nucleari civili americane e ora stoccate in numerosi siti provvisori di superficie.

Quasi 25 anni fa gli Stati Uniti avevano individuato il sito adatto: nelle viscere della Yucca Mountain in Nevada. Hanno poi speso 15 miliardi di dollari e approvato un'apposita legge per realizzare il progetto. Ma i dubbi sulla bontà della scelta non sono mai venuti meno. Secondo alcuni tecnici il sito è sia a rischio sismico che soggetto a infiltrazioni di acqua: quindi inadatto a ospitare per decine di migliaia di anni le scorie radioattive.

Bloccare il progetto della Yucca Mountain, questo era stato uno degli slogan vincenti di Barack H. Obama durante la campagna elettorale che lo ha portato alla Presidenza degli Stati Uniti. Promessa mantenuta, per la gioia degli abitanti del Nevada che si sono da sempre opposti all'idea. Il premio Nobel per la fisica, Steven Chu, il Segretario di Stato messo a capo del Department of Energy (DOE), ha disposto effettivamente il blocco del progetto.

Ma la vicenda non sembra affatto conclusa. Non sul piano giuridico: due stati, la Carolina del Sud e lo Stato di Washington, hanno fatto ricorso alla Corte Federale di Appello del District of Columbia e alla Nuclear Regulatory Commission (NRC) contro la decisione del Department of Energy (DOE).

Non sul piano tecnico: un rapporto reso pubblico lo scorso 8 aprile dal Government Accountability Office (GAO), una struttura indipendente del Congresso, invita il Department of Energy a «sviluppare un piano preliminare per ripristinare il progetto della Yucca Mountain».

Non sul piano politico, infine: il repubblicano Paul Broun, presidente della House Science Subcommittee on Investigations and Oversight, ha facile gioco nel sostenere che, cassata la scelta della Yucca Mountain, «il paese si ritrova senza alcun piano per lo stoccaggio nel lungo periodo delle scorie nucleari».

In realtà non ci sono soluzioni facili in vista. Agli occhi di molti l'incidente di Fukushima dimostra la insostenibilità della recente proposta di una commissione del MIT di Boston: lasciamo le scorie in depositi di superficie finché, tra alcuni decenni, non sarà trovata una soluzione al loro smaltimento.

Ma è anche difficile individuare siti geologici diversi da quello della Yucca Mountain: per una prevedibile espressione della sindrome NIMBY (non nel mio giardino) nessuno stato è disponibile a ospitarlo, dopo che l'opposizione popolare in Nevada ha vinto la sua pluridecennale battaglia.
È per questo che, secondo la rivista Nature, molti persino nell'Amministrazione di Barack Obama, ritengono tutt'altro che seppellito il progetto Yucca Mountain.

Il guaio è che, ove anche fosse ripristinato, il progetto risulterebbe insufficiente a risolvere i problemi. Il sito, infatti, è stato progettato per contenere 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi. Le scorie prodotte finora dalle centrali nucleari "civili" sono 65.000. E ogni anno ne vengono prodotte 2.000 tonnellate di nuove e aggiuntive. A queste vanno aggiunte le 8.000 tonnellate prodotte nei siti militari. Siamo già oltre la capienza massima prevista per la Yucca Mountain.

A questo punto lo scenario è decisamente confuso. Tenere le scorie in superficie a tempo indeterminato è una condizione difficile da sostenere a lungo. Il blocco del progetto Yucca Mountain è sub judice. E potrebbe essere revocato. Il Congresso a maggioranza repubblicana intende ripristinare quel vecchio progetto. Ma quel vecchio progetto è già insufficiente e, dunque, andrebbe comunque rivisto: o trovando nuovi siti o ampliando la caverna sotto la Yucca Mountain destinata a ospitare le scorie.

Quale sarà la soluzione al dilemma (una soluzione che potrebbe fare scuola anche in Europa)? Non lo sappiamo. Ma qualunque sarà, una cosa è certa, come sostiene Phil Sharp, presidente di Resource for Future, una organizzazione indipendente basata a Washington che si occupa di rischi ambientali: qualsiasi scelta farà, il governo non dovrà reiterare l'errore commesso in Nevada. Dovrà coinvolgere i cittadini e non metterli davanti al fatto compiuto. E lancia un consiglio: presenti il deposito geologico come una priorità nazionale e si appelli allo storico patriottismo degli statunitensi.

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