[03/05/2011] News

L’etica dei biofuels

Il Nuffield Council on Bioethics della Gran Bretagna ha da poco pubblicato il rapporto Biofuels: ethical issues, con il proposito esplicito di definire delle linee guida etiche per la gestione dei biocarburanti. L'interesse manifestato dall'autorevole e influente fondazione britannica che si occupa di bioetica costituisce una piccola novità, per almeno due motivi. Perché finora i bioeticisti  non si erano occupati - non in maniera così puntuale, almeno - di fonti di energia. E perché i bioeticisti britannici si occupano in questo primo caso delle implicazioni etiche relativa all'uso di una fonte rinnovabile di energia. Non esiste, infatti, una bioetica del petrolio o del carbone e neppure del nucleare. Ora esiste una bioetica dei biofuels. Perché?

In generale, il motivo risiede nella storia di questa disciplina così come si è venuta evolvendo dagli anni '70 del secolo scorso, quando l'oncologo americano Van Rensselaer Potter, prendendo in esame le prospettive in due scienze, la biologia e la medicina, in rapidissimo sviluppo, parlò della necessità di creare una nuova disciplina scientifica, la bioetica con forti implicazioni ecologiche. Potter, infatti, non aveva un'idea normativa della bioetica, ma la considerava come «un ponte verso il futuro»: uno strumento che integrando la conoscenza dei sistemi viventi e la conoscenza dei valori umani consentisse all'uomo di sopravvivere al meglio in un ecosistema in rapida evoluzione. La bioetica per Potter doveva essere considerata come «un'ecologia globale di vita». Questo imprinting della disciplina si avverte forse meno nei paesi latini, ma si avverte ancora in maniera molto forte nei paesi anglosassoni.

Dunque non deve stupire più di tanto se i bioeticisti inglesi si occupano di energia, ovvero di un fattore che gioca un ruolo così forte nella rapida evoluzione degli ecosistemi.

Pochi giorni fa, sulla rivista americana Science, due tra gli estensori del rapporto, Alena Buyx (membro del Nuffield Council on Bioethics) e Joyce Tait (esperto dell'università di Edimburgo e presidente del Working Party of Biofuels) hanno spiegato i motivi specifici alla base del rapporto e ne hanno riassunto i risultati.

I motivi sono presto detti. I biofuels stanno diventando un elemento importante nella politica di cambiamento del paradigma energetico dai fossili alle rinnovabili. Gli Stati Uniti, infatti, si sono riproposti di produrne 36 miliardi di galloni (circa 135 milioni di m3) entro il 2022. E l'Europa vuole che entro il 2020 i biofuels costituiscano almeno il 10% dei carburanti usati nel sistema dei trasporti dell'Unione. Dunque esistono delle politiche attive per sviluppare questa forma di energia.

Il guaio è, sostengono gli esperti del Nuffield Council on Bioethics, che esistono seri dubbi sull'efficacia dei biofuels nella lotta ai cambiamenti del clima, mentre esistono fondate preoccupazione per effetti negativi nel campo della sicurezza alimentare, dell'ambiente e dei diritti di contadini e piccoli proprietari nei paesi in via di sviluppo.

Di qui la necessità di definire linee guida sulla gestione di questa fonte sulla base dei valori morali condivisi nei settori della giustizia globale, della lotta ai cambiamenti climatici e dell'etica ambientale: il bene comune della mitigazione dei cambiamenti del clima; il rispetto dei diritti dell'uomo; la solidarietà con le popolazioni vulnerabili; la gestione responsabile delle risorse naturali; la sostenibilità ecologica e sociale; la giustizia intergenerazionale.

È sulla base di questi valori morali condivisi che il Nuffield Council on Bioethics ha elaborato le linee guida per la gestione dei biofuels articolata in cinque principi. Lo sviluppo dei biocarburanti: non deve avvenire a spese dei diritti fondamentali dei popoli; deve essere ecologicamente sostenibile; deve determinare una diminuzione netta di gas serra nell'atmosfera e non deve contribuire all'aumento della temperatura media globale; deve riconoscere il diritto delle popolazioni a una giusta remunerazione; i costi e i benefici devono essere egualmente ripartiti.

Molto probabilmente il rapporto sulle implicazione etiche dello sviluppo dei biofuels susciterà un nuovo e acceso dibattito, tra chi vede nella bioetica il tentativo di mettere le briglia allo sviluppo tecnologico e chi lo sviluppo tecnologico un male in sé. Tuttavia il documento ha almeno due meriti. Proporre un dibattito pubblico sulle modalità concrete in cui si sta avviando la necessaria transizione energetica dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili. E sottolineare che non esistono pasti gratis in natura. E che per ogni innovazione saremo chiamati non solo a gestire le opportunità ma anche a pagare un prezzo. Sta a noi scegliere tra le migliori opportunità e I costi più contenuti.

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