[02/05/2011] News toscana

Quali politiche e quali strumenti servono per stare nel cambiamento sociale, istituzionale ed economico?

Sarebbe cosa utile se sul PRS dal Consiglio Regionale si diramasse una riflessione su contenuti e forme del governo della società toscana in anni di grandi cambiamenti planetari. Non illudiamoci però perché da anni la politica e le rappresentanze istituzionali, così come quelle sociali, non hanno un pensiero critico organizzato. E' uno dei dati del cambio di equilibri tra economia e politica, tra capitale e lavoro.

Serve domandarsi, tuttavia, quali politiche e quali strumenti occorrano per stare nel cambiamento sociale, istituzionale ed economico, che sembra durare a lungo, e che sfugge completamente al controllo della scala regionale. Significa anche chiedersi quali politiche si è in grado di prospettare e attuare in funzione di chi e di che cosa, ma anche quali siano gli strumenti più appropriati a far fronte alle turbolenze delle crisi.

Premesso che l'equilibrio capitale - welfare - lavoro è saltato anche da noi, sia pure in modo meno violento, ma non meno profondo, che in altre realtà locali, la società toscana è stata dal secondo dopoguerra in grado di dotarsi di istituti sociali, economici e rappresentativi flessibili ed adattabili. Tra questi la programmazione regionale e una forma di concertazione neocorporativa di piani, programmi e norme per l'economia e il lavoro.

Ma il cambiamento radicale tra economia e politica li ha messi in cortocircuito così come a suo tempo (crisi da inflazione e crisi petrolifera del 1973) furono messe in crisi e abbandonate le politiche di piena occupazione. In Toscana si adottò una politica dell'occupazione, legata ad una crescita economica lenta, che riteneva accettabile una oscillazione della disoccupazione tra un minimo di 4-5% e un max di 7-8%.

La relazione tra capitale e istituzioni statali e regionali è cambiata ogni volta che la tecnologia e le istituzioni economiche del capitale hanno cambiato la loro dinamica; negli anni ottanta del secolo scorso fu la rivoluzione industriale dell'informatica, dei trasporti e delle capacità produttive transnazionali. Anche così si spiega la lenta velocità di crescita di una regione priva di tali capacità produttive e del settore di punta.

E oggi che il fiume in tracimazione dell'accumulazione transnazionale e altri cambiamenti tecnologici sono in atto (fonti energetiche rinnovabili, robotica e miniaturizzazione, biocomputer, ecc.), si è generato, da quasi vent' anni, un profondo squilibrio tra capitali transnazionali (compresa la mobilitazione di forza lavoro in paesi in cui i salari sono molto più bassi che in Europa) e capacità regolative della politica e delle istituzioni statali, sovranazionali, come la UE, e regionali. Questo è il vicolo cieco della politica.

Programmazione e concertazione neocorporativa non plus. Il loro posto è stato preso, in Toscana, da sterile leaderismo fine a se stesso e lobbysmo. Le cose non possono che peggiorare.
A meno che... ogni sforzo di capacità creativa non venga dedicato a ridisegnare istituzioni e politica a compiti realistici capaci di riavviare un processo sociale più equilibrato.

La vera sfida è agire sull'unico aspetto relativamente statico dal punto di vista transnazionale, quello delle forze di lavoro, in termini di valore aggiunto, di professionalità, di capacità e qualità del lavoro che possono si riguardare una minoranza del mdl ma il cui valore potenziale può trainare l'intera società toscana, col miglioramento dei sistemi a disposizione e il collegamento al mercato mondiale.

E si potrebbe concentrare questo sforzo in istruzione, ricerca, innovazione, legandolo ad un settore in cui le capacità (progettuali, industriali e manageriali) in Toscana non mancano aprendosi ai mercati esterni e a un grande piano, questo si, di investimenti pubblici nel rinnovo del parco energetico, logistico e urbano della regione.
Nuove politiche e istituzioni seguiranno, dalle vecchie. Forse.

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