[27/04/2011] News

I carri armati a Damasco e i due pesi e le due misure dell'Occidente

Mentre a Roma salta la riunione del governo per non far saltare il governo sulle mine della Libia seminate dal ministro della guerra Ignazio La Russa e dalle truppe padane filo-Gheddafi, mentre le tribù libiche spiazzano Berlusconi e i legisti schierandosi contro Gheddafi, dall'altra parte del Mediterraneo, lontano dallle risorse petrolifere ma al confine più pericoloso del conflitto mediorientale, in Siria si sta consumando la brutale repressione di una rivoluzione che gli occidentali fino ad ora hanno quasi ignorato, preferendo affidarsi alla "stabilità" del regime nazional-socialista della dinastia Assad.

Eppure la rivolta siriana è forse la più sanguinosa e probabilmente la più coraggiosa della rinascita araba: sfida un regime forte e brutale, un'ideologia fascista, il baathismo, mascherata di socialismo, che ha generato due dittature "laiche" feroci: quella irakena di Saddam Hussein e appunto quella siriana degli Assad, che hanno preso due strade diverse che hanno portato Saddam alla guerra contro l'Iran e gli Assad all'alleanza con Teheran e con Hezzbollah in Libano ed Hamas a Gaza.

Mentre il campo in Iraq è stato spazzato via dagli americani e dai loro alleati, che poi si sono trovati al comando gli sciiti filo-iraniani, in Siria la dittatura rischia di finire affogata nel sangue e l'unica opposizione vera sembra quella islamica... cosa che sembra fare più paura agli occidentali dei molti dittatori amici caduti, dei pochi "nemici" ancora in sella e delle ricche e inguardabili dittature petrolifere del Golfo Persico.

A Damasco e nelle città siriane che ribollono di una rabbia covata per decenni e di nuovi lutti, sono entrati in azione i carri armati, come a Piazza Tien Anmen a Pechino, a Praga e in Ungheria, in Cile e in Argentina e nelle mille piazze sconosciute dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina dove le dittature hanno deciso che il popolo non dovesse vincere, come nelle mille strade dalle quali troppe volte abbiamo distolto lo sguardo per non vedere il sangue e le ossa frantumate dai cingoli o semplicemente la libertà ammutolita dalle armi.

Oggi la rappresentante dell'Ue per la politica estera, Catherine Ashton, si è congratulata per l'accordo raggiunto con la mediazione dei Paesi del Golfo per la transizione pacifica nello Yemen, un altro Paese dove l'Occidente ha avuto paura di mettersi contro un dittatore amico, ci sono volute centinaia di morti perché la coalizione dell'opposizione riuscisse ad imporre le sue richieste che oggi vengono fatte passare come una proposta dei mediatori.

Gli arabi, che hanno quasi tutti sulle scatole Gheddafi, vedono l'enorme differenza tra quel che è successo a Sana'a e quel che succede a Tripoli, capiscono benissimo i due pesi e due misure usati per la rivolta sciita nel Bahrein amico dell'Arabia Saudita e quel che sta accadendo in Siria (per non parlare dell'eterna questione palestinese).

Le nuove democrazie che stanno nascendo in questa nuova primavera araba probabilmente terranno conto di questo "doppio livello" e saranno sicuramente meno ben disposte verso l'Occidente, anche Paesi come la Siria governati da regimi teoricamente anti-americani. Rischia di ripetersi per gli americani e gli europei quel che successe ai russi dopo il crollo dell'Unione Sovietica nei Paesi del Patto di Varsavia e nelle nuove repubbliche indipendenti nelle quali si frantumò l'Urss. Quell'ostilità diffusa e quel sospetto che avvelena ancora rapporti ed affari.

Forse, al di là del tardivo richiamo degli ambasciatori, della minaccia di sanzioni e delle condanne diplomatiche, almeno l'Europa potrebbe fare qualcosa di più in un Paese, la Siria, ed in due regioni, il Medio Oriente e il nord Africa, dove il colonialismo britannico, francese ed italiano (ma l'Italia non ha più una politica mediterranea né mediorientale) ha disegnato confini degli Stati e messo al potere regnanti e regimi.

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