[26/04/2011] News

Ma il Piano nazionale della ricerca mina l'autonomia degli Enti

Nei giorni scorsi il Ministro dell'Istruzione, università e ricerca, Mariastella Gelmini, ha presentato il "Programma Nazionale della Ricerca 2011-2013", approvato dal CIPE su sua proposta il 23 marzo scorso.
Si tratta di un lungo documento (scaricalo da qui) di 173 pagine il cui cuore sono 14 Progetti Bandiera. Considerati i progetti strategici che dovrebbero caratterizzare la nostra attività scientifica e tecnologica nei prossimi tre anni per renderla più competitiva.

Tra i 14 progetti del Piano Nazionale della Ricerca (PNR) ve ne sono alcuni importanti per l'ambiente (la messa in orbita di satelliti per il telerilevamento; la ricerca per il mare); alcuni che riguardano l'energia (nucleare di nuova generazione; nucleare da fusione) e altri infine che si pongono esplicitamente il tema della sostenibilità ecologica della nostra economia (come il progetto per la fabbrica del futuro e la valorizzazione dei beni culturali).

Dei singoli progetti, tuttavia, sappiamo ancora poco. Mentre è possibile commentare l'insieme del PNR. Diciamo subito che era ora. Il nostro paese ha bisogno di programmare la sua attività di ricerca scientifica e di sviluppo tecnologico. Un bisogno anche economico: perché l'Italia è fuori dall'"economia della conoscenza" e ha necessità di rientrarvi. La programmazione è uno strumento forse non sufficiente, ma certo necessario. Dunque quella di redigere il PNE è un'ottima idea.

Giusto è anche l'obiettivo che ci si pone: aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo puntando a raggiungere quota 1,5% del Prodotto interno lordo (PIL). Con questo investimento resteremmo il fanalino di coda dell'Unione Europea, ma almeno ci muoviamo dal livello in cui siamo (1,0% del PIL) e la direzione del movimento è quella giusta.

Ma qui ci fermiamo. Purtroppo non si è andati oltre queste due buone intenzioni. Il documento, infatti, ha numerose lacune. Noi ne abbiamo individuate tre: una di metodo e due di merito. Sarebbe bene discuterne.

La lacune di metodo consiste nel fatto che il PNR non è stato discusso in pubblico. Anche se il ministro si è avvalso della consulenza del CEPR, il Comitato di Esperti per la Politica della Ricerca, e il CEPR è costituito da ottimi scienziati, la comunità scientifica nel suo insieme e, in definitiva, il paese non sono stati coinvolti in un pubblica discussione sulle scelte. Il PNR riguarda il futuro sia della scienza italiana sia il futuro della nazione italiana. La discussione pubblica sulle scelte non è solo consigliabile, ma doverosa e necessaria.

Anche perché il dibattito pubblico avrebbe consentito di evitare le due principali lacune di merito che il Piano contiene. La prima è che, ancora una volta, la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica sono costrette a celebrare le nozze coi fichi secchi. Il PNR prevede, infatti, una spesa in tre anni 1.770 milioni di euro. Ma si tratta di soldi che sostanzialmente già appartengono agli Enti pubblici di ricerca. Non c'è un solo centesimo di euro aggiuntivo. In stridente contraddizione con l'obiettivo di raggiungere l'1,5% di investimenti rispetto al PIL.

Se ne ricava - ecco la seconda grave lacuna di merito contenuta nel documento - che i 14 Progetti Bandiera saranno finanziati con soldi che gli Enti pubblici di ricerca dovranno sottrarre alle altre attività di ricerca. Si tratta di fondi cospicui: il 15% del budget degli Enti pubblici di ricerca. I risultato netti sono due. Da un lato i 14 Progetti Bandiera sottrarranno risorse ad altre attività di ricerca, magari già in atto. Dall'altro determinano una forte centralizzazione delle decisioni in materia scientifica. Il Ministero con il PNR sottrae potere di scelta agli Enti e lo avoca a sé. Non è questa la tendenza in Europa, dove l'autonomia della ricerca è un valore molto rispettato.

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