[04/03/2011] News

Smog, Martuzzi (Oms): «La situazione in Italia č stazionaria, che non significa buona. Serve un nuovo studio completo»

LIVORNO. Giornalisticamente la notizia non fa tanto clamore perché emoziona poco, ma se ci si vuole avvicinare il più possibile ad un dato oggettivo sulla qualità dell'aria, in Italia, la situazione è "stazionaria". Questo non significa affatto che la qualità dell'aria sia buona, o cattiva, ma che il trend non è né in peggioramento, né in miglioramento. Per maggior precisione andrebbe detto che negli ultimi anni a fronte di una riduzione delle emissioni di Pm10, sicuramente una buona notizia, sono cambiate le modalità di rilevamento e dunque alcune serie storiche si sono interrotte tanto che sarebbe ora di un nuovo grande studio a livello nazionale. 

La fonte è autorevole, perché lo abbiamo chiesto direttamente a Marco Martuzzi, responsabile impatto ambientale sulla salute del Centro europeo ambiente e salute Oms.

La nostra curiosità nasce dagli ultimi dati forniti sulla mortalità da "smog" nella val Padana, una stima di 7200 decessi l'anno. Incrociandola con il precedente studio sempre dell'Oms del 2006, cercavamo infatti di capire che cosa nell'arco temporale fosse cambiato. O almeno se ci fosse la possibilità di un parallelismo. Va detto che nel 2006 lo studio dell'Oms riguardò 13 città italiane con più di 200mila abitanti e la mortalità annuale da "smog" risultava di oltre 8mila unità su una popolazione di circa 9 milioni di persone. Quello nuovo riguarda invece 30 città della val Padana con una previsione di circa oltre 7mila morti  annuale e, in assenza di un numero ufficiale, credevamo che si riferisse all'intera popolazione della val padana, calcolata in circa 20 milioni di persone.

Ma Martuzzi ci ha spiegato come stanno in realtà le cose: «Nel 2006 abbiamo fatto uno studio completo. Per quello nuovo è stata usata la stessa metodologia, consolidata da tempo, ma con alcune approssimazioni. Manca la parte sulla aggregazione dei dati delle concentrazioni, in sostanza è meno completo dell'altro, ma ci dice che la situazione non è affatto buona. La stima dei 7200 morti è infatti conservativa, il margine di errore è per difetto, non per eccesso. E comunque riguarda 7,6 milioni di abitanti, ovvero quelli dei 30 comuni capoluogo, anche se la proiezione è su tutta la val Padana. Confidiamo inoltre di poter fare il prima possibile un nuovo studio approfondito come quello del 2006 ma con i dati relativi alle pm2.5».

Da che cosa dipende?

«Per farlo qualcuno deve darci l'incarico, nel 2000 fu il ministero dell'ambiente e riguardò solo otto grandi città, nel 2006 fu l'Apat (l'attuale Ispra, ndr) e le città interessate furono 13, dunque i fondi per lo studio, non servono milioni sia chiaro, devono arrivare da un interesse politico-scientifico e quindi da un'istituzione pubblica che noi cerchiamo di sollecitare ovviamente». 

Il dato che ha fatto il giro delle agenzie di stampa e poi dei giornali è stato quello che ogni cittadino italiano, a causa dello smog, vive nove mesi di meno. Un dato però non nuovo, visto che si trovava nello studio del 2006: «Una stima della riduzione nella speranza di vita dovuta all'inquinamento dell'aria in Italia è stata calcolata nell'ambito del programma CAFE (Amann et al., 2005). Lo studio, convertendo i valori di concentrazione del PM10 e del particolato totale sospeso (TSP) nella metrica del PM2.5, ha stimato per l'anno 2000 una perdita di 9 mesi di vita attribuibile alle polveri sottili in Italia (paragonata a una perdita di 8.6 mesi in Europa)».

«E' vero, ma detto questo, e al di là dei numeri, il messaggio che intendiamo veicolare è che  l'impatto dello smog sulla vita delle persone è molto consistente, sia in termini di mortalità, sia di costi sociali e di impatti negativi in genere».

Come Centro europeo ambiente e salute Oms che idea vi siete fatti delle misure necessarie per migliorare questa situazione?

«Bisogna tener conto che in ambiente urbano il grosso, oltre il 50%, delle polveri viene dal trasporto, il resto è industria e poi il riscaldamento delle case. Ci sono alcune eccezioni, tipo Venezia e Trieste per ragioni geografie, ma nel resto d'Italia i numeri sono quelli.  Il fondo naturale di Pm10 esiste ma è molto basso, circa 7 microgrammi, inoltre l'influenza della sabbia proveniente dal Sahara sembra essere contenuta. Esiste, è vero, ma le percentuali sono basse, mentre è chiaro che il clima della pianura Padana è piuttosto influente sulle concentrazioni di Pm10. Quindi tornano alla domanda, se si considerasse solo il rapporto Pm10 mortalità, se cambiassimo tutte le auto attualmente in circolazione in auto elettriche, questo dato crollerebbe. Ma il punto è, come accennavo prima, che ci sono altri impatti a partire dagli incidenti d'auto, il rumore, l'attivita' fisica, oltre al fatto che con l'auto elettrica l'inquinamento si sposterebbe solo da un'altra parte. Dunque serve un piano di mobilità sostenibile, dove si potenziano i mezzi pubblici e soprattutto si stimola l'uso della bici e dell'andare a piedi. Cosa che aiuta notevolmente anche a prevenire le malattie cardiovascolari».

L'Europa ha cambiato di recente la legge sugli sforamenti rendendola ancor più restrittiva. Che ne pensa?

«Va detto che la riduzione di inquinamento da Pm10 genera immediati miglioramenti sul tasso di mortalità. Non c'è soglia, per cui più scendi più migliori. Quindi tutto quello che va nella riduzione del danno è ben accetta, è chiaro che devono essere obiettivi possibili, ma quelli che sono stati dati lo sono. Almeno per quanto riguarda l'Italia, ci sono esempi europei che lo dimostrano».

Quindi non sono obiettivi velleitari come qualcuno vorrebbe far credere?

«Assolutamente no, certo non si ottengono risultati dall'oggi al domani, ma ripeto in Europa c'è chi li ha già ottenuti».

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