[24/02/2011] News

Il climatologo Navarra a greenreport: Politici miopi, ma qualcuno si eleva e può trascinare la comunità internazionale

LIVORNO. Esperti internazionali a confronto oggi a Roma sul tema "Dammi da bere", una conferenza organizzata dall'associazione Greenaccord con il sostegno della Provincia di Roma (vedi altro articolo, link a fondo pagina), che ha visto partecipare anche Antonio Navarra, direttore del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti climatici, al quale greenreport ha voluto rivolgere alcune domande, andando anche oltre al tema dell'acqua come bene comune.

«L'acqua rischia di essere il principale fattore di crisi mondiale dei prossimi decenni - ha spiegato Navarra - La situazione può in particolare divenire molto critica per i Paesi in via di sviluppo, nei quali i rapidi processi di urbanizzazione si uniscono a grandi problemi di approvvigionamento idrico».

Professor Navarra, quanto incidono i cambiamenti climatici sul problema dell'accesso all'acqua?

«I cambiamenti climatici influenzano la risorsa idrica, andando a modificare la quantità delle precipitazioni e la loro distribuzione. Il loro effetto si ripercuote su tutte le attività umane. In alcuni casi, l'acqua diventa scarsa. In altri, arriva in eccesso e concentrata in pochi giorni dell'anno. Va però chiarito che sono i cambiamenti cliamtici sono dei fattori del problema. Importante, ma non l'unico. Anche gli interventi indiscriminati sull'ambiente hanno un ruolo cruciale, andando a ripercuotersi sulla disponibilità e sulla qualità dell'acqua».

Come giudica i risultati ottenuti nel vertice di Cancun e cosa pensa possa essere raggiunto nella prossima Conferenza delle Parti?

«Cancun ha sostanzialmente confermato i risultati raggiunti a Copenhagen. Il fatto più importante è che si sia deciso di continuare a discutere: sembra poco ma per il mondo della diplomazia non lo è affatto. Dal punto di vista tecnico, va sottolineato con favore la creazione di un fondo per lo sviluppo di progetti che agevolino l'adattamento ai cambiamenti climatici dei Paesi poveri. Fare invece una previsione per il futuro è molto difficile: molto dipenderà dalla buona volontà dei vari Paesi di arrivare a un accordo».

L'ultimo numero di Nature dedica uno speciale alle questioni climatiche e indica senza dubbio alcuno che ormai la responsabilità dell'uomo è conclamata e ampiamente dimostrata. Perché nonostante queste prove e nonostante le dimostrazioni portate anche dal rapporto Ipcc ancora la questione climatica resta sullo sfondo delle decisioni dei grandi governanti?

«In questo caso bisogna chiarire una cosa: tutte le affermazioni che facciamo noi tecnici sono basate su statistiche. Anche se ormai siamo concordi nel definire "virtualmente certo" ciò che sta avvenendo a livello di cambiamenti climatici, permane comunque una percentuale minima di incertezza, quantificabile attorno all'1-4%.

A livello politico, il problema del climate change si riduce sostanzialmente a una questione di risk management. Vanno cioè valutati i rischi e le informazioni in nostro possesso, per decidere cosa fare per valutare il rapporto costi-benefici di ogni operazione.

C'è poi un altro fattore da considerare per capire le mosse dei governanti: l'orizzonte temporale in cui si muovono loro è diverso da quello in cui si muovono i tecnici. Questi ultimi si muovono sul lungo termine. I primi, invece, ragionano in termini di pochi anni. E questo rende più complicato prendere le decisioni giuste. Ma per fortuna, qualche figura si eleva sopra le altre. Riesce a fare pensieri lunghi e decisioni di ampio respiro. Sono quelle che alla fine pesano e riescono a trascinare il resto della comunità internazionale».

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