[10/02/2011] News

La Bei e l'Ue al centro dello scandalo della Mopani Copper Mine dello Zambia

LIVORNO. Eurodad, Tax Justice Network, Ctpd e Counter Balance - Réformer la Bei, una colazione di Ong di cui fanno parte anche Campagna per la Riforma della Banca Mondiale (Crbm Italia) Cee Bankwatch Network (Europa centrale e orientale), les Amis de la Terre (Francia), Urgewald e Weed (Germania), BothEnds (Olanda), Bretton Woods Project (Gran Bretagna), hanno reso noto un audit confidenziale che dimostra come Glencore, una delle più grosse multinazionali svizzere, potrebbe aver deviato delle entrate in Zambia per localizzare i suoi profitti a Zug, uno dei cantoni svizzeri più favorevoli dal punto di vista fiscale.

Le attività riguardano la Mopani copper mine (Mcm), una compagnia mineraria della quale Glencore detiene la maggioranza, che estrae rame e cobalto nel nord dello Zambia. Les Amis de la Terre sottolineano «Come candelina sulla torta, Mopani ha ricevuto un prestito di 48 milioni di euro dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), concesso per agire per lo sviluppo in Africa». Le Ong chiedono «Un'inchiesta immediate per determinare come dei fondi dell'Ue per lo sviluppo abbiano potuto essere investiti in un'impresa che ha tali pratiche».

Il documento confidenziale di cui sono entrate in possesso le Ong risale al 2008, quando due agenzie di audit e management consulting, la statunitense Grant Thornton e la norvegese Econ Pöyry, hanno esaminato i conti delle compagnie minerarie in Zambie, tra le quali la Mcm, una delle più grandi imprese del Paese africano. Les Amis de la Terre, nelle cui mani è arrivato direttamente il documento, spiegano: «Questo audit lascia pensare che Mopani potrebbe utilizzare delle pratiche di evasione fiscale per ridurre le imposte pagate in Zambia. Punta il dito su diverse anomalie nei conti dell'impresa, quali degli aumenti inesplicabili dei costi o delle incoerenze nei volumi di produzione dichiarati dall'impresa. Inoltre Mopani vende la maggior parte dei suoi minerali a Glencore, la sua società madre, a prezzi che sarebbero inferiori al loro valore sul mercato delle materie prime. Delle operazioni di questo tipo suggeriscono fortemente che Glencore utilizzi la tecnica detta "transfert pricing" per evitare di pagare delle imposte sui suoi redditi in Zambia».

Per Savior Mwambwa, direttore di Ctpd, una Ong dello Zambia, «Questo audit conferma che le compagnie minerarie impediscono alla popolazione zambiana di beneficiare delle entrate fiscali che sarebbero necessarie allo sviluppo del Paese. Il governo zambiano deve reagire e sanzionare queste pratiche».

Già il 15 dicembre 2010 la Crbm aveva reso noto in Italia un nuovo rapporto di Counterbalance, "Projet Mopani (Zambie) : l'Europe au cœur d'un scandale minier" che denunciava: «Una miniera che non serve allo sviluppo economico dello Zambia, ma che devasta l'ambiente senza mezzi termini» e «Gli impatti negativi della miniera di rame di Mopani in Zambia anche in relazione al finanziamento concesso dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), un totale di 48 milioni di euro. Una delle condizioni attaccate al prestito della Bei era invece il miglioramento delle condizioni dell'aria della regione. Una simile evenienza non si è verificata, anzi, si è registrato un peggioramento dovuto ai lavori collegati alla miniera. La compagnia capofila del consorzio che gestisce Mopani, la svizzera Glencore, non è nuova a critiche sulle conseguenze nefaste delle sue attività. Nel 2008, infatti, ha ricevuto il poco ambito "premio" di peggior corporation dell'anno al Public Eye Award che si tiene in contemporanea con il Global Economic Forum di Davos».

Rispetto al transfer pricing, l'Ong italiana ricorda che «Secondo l'Ocse, circa i due terzi del commercio internazionale si svolge all'interno delle imprese e riguarda transazioni tra diverse filiali o sussidiarie di imprese transnazionali, mentre solo un terzo riguarda le vera e propria vendita di prodotti o servizi sul mercato. In altre parole, la maggior parte delle operazioni di import-export si svolgono tra due sussidiarie di una stessa impresa multinazionale: una filiale compra o vende dei prodotti a un'altra filiale in un Paese diverso. Non trattandosi di operazioni di mercato, è spesso possibile fissarne i prezzi in maniera arbitraria, in modo da fare poi risultare gli utili dell'impresa nelle filiali situate nei Paesi a minore imposizione fiscale, e le perdite nei Paesi in cui la tassazione è maggiore, eludendo in questo modo il fisco. Negli scorsi anni sono state registrate esportazioni di succo di mela a 1.012 dollari al litro, di secchi di plastica a 725 dollari al pezzo, di spazzolini da denti venduti a 5.600 dollari l'uno».

Il prestito da 48 milioni di euro della Bei, è avvenuto attraverso le risorse della "Facilité d'investissement" uno strumento dei Fondi europei di sviluppo (Fed) che fornisce l'aiuto per lo sviluppo nell'Africa-Caraibi-Pacifico (Acp). Sia la Bei che Facilité d'investissement dovrebbero avere come obiettivi la riduzione della povertà e lo sviluppo sostenibile in Africa.

Per Anne-Sophie Simpere, degli Amis de la Terre, «E' scandaloso che delle multinazionali ricchissime abbiano questo genere di pratiche, approfittando, attraverso la Bei, dei fondi europei che avrebbero dovuto finanziare dei progetti di sviluppo. Questo audit dimostra che è necessario instaurare più trasparenza per salvaguardare gli interessi dei Paesi del Sud e perché le istituzioni dell'Ue rimangano coerenti con le dichiarazioni dei governi europei in materia di lotta contro i paradisi fiscali».

Per questo la coalizione internazionale di Ong chiede: «La messa in campo di un'inchiesta indipendente, da parte del Parlamento europeo, sulle ragioni che hanno condotto la Bei e l'Ue ad essere implicate in questo progetto che non corrisponde agli obiettivi europei in materia di sviluppo; L'adozione da parte dell'Ue di norme stringenti che obblighino le multinazionali a pubblicare i loro conti Paese per Paese».

 

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