[08/02/2011] News

La storia dell’uomo e il concetto biologico di specie

NAPOLI. Cos'è, dunque, una specie biologica? La domanda è tornata d'attualità - l'ha riproposta Science, la nota rivista dell'American Association for the Advancement of Sciences (AAAS) - dopo che, nel corso del 2010 il gruppo di ricerca di Svante Pääbo ha riscritto, in parte, la storia delle specie Homo sapiens. La nostra specie.

I fatti sono noti. Svante Pääbo e i suoi collaboratori dell'Istituto Max Planck per l'Antropologia Evolutiva di Leipzig hanno analizzato il genoma di diversi individui di Homo sapiens e lo hanno comparato con quello dei Neandertal, vissuti in Europa tra 700.000 e 35.000 anni fa e poi estinti. I Neandertal, sostengono gli antropologi, appartengono al nostro stesso genere, il genere Homo, ma non alla nostra stessa specie. I Neandertal sono, per questo, indicati come appartenenti alla specie Homo neandertalensis. Le cose sono andate bene finché si è potuto legittimamente pensare che sebbene si siano incontrati e, probabilmente, accoppiati i sapiens e i neandertalensis non hanno generato una prole fertile. Ma, proprio a inizio dello scorso anno, il gruppo di Svante Pääbo ha dimostrato che nel Dna di noi europei (ma non degli africani) c'è una piccola componente (tra l'1 e il 4%) di sequenze nucleotidiche ereditate dai Neandertal.

Alla fine di dicembre lo stesso gruppo ha scoperto nel genoma degli attuali Malesiani (e solo in loro) una piccola componente (tra il 4 e il 6%) di sequenze nucleotidiche ereditate dai Denisoviani, un'antica popolazione vissuta in Asia fini ad alcune migliaia di anni fa forse discendente da Homo erectus.

L'antico assunto, dunque, sembra caduto. Dopo essere uscita dall'Africa (fra 125.000 e 75.000 anni fa), Homo sapiens ha incontrato altre specie del genere Homo. Individui di sesso diverso dei due gruppi si sono accoppiati. E hanno prodotto una prole a sua volta fertile.

È a questo punto che la definizione teorica di specie vacilla. Almeno così come l'ha autorevolmente proposta Ernst Mayr: un grande biologo evoluzionista, storico e filosofo della biologia. Secondo Mayr una specie è costituita da "gruppi di popolazioni naturali attualmente o potenzialmente interfertili, che sono riproduttivamente isolati". Scimpanzé e bonobo sono specie diverse, perché formano gruppo riproduttivamente isolati: non si accoppiano e non producono prole fertile. Asini e cavalli sono specie diverse perché anche se si accoppiano e producono una prole (i muli), questa è sterile.

Secondo la definizione di Mayr, dunque, i sapiens, i Neandertal e i Denisoviani non devono più essere considerate specie diverse, perché si sono accoppiati e hanno generato una prole fertile giunta fino ai nostri giorni.

Questo mette un bel po' di pepe nel piatto della storia umana. Ma pone anche dei problemi teorici. Perché le cose non sono così semplici. Sembra, infatti, che è vero che i sapiens e i Neandertal si siano accoppiati e abbiano prodotto una prole a sua volta fertile. Ma il successo riproduttivo degli incontri tra sapiens e Neandertal è stato decisamente inferiore a quella interno ai sapiens e interno ai Neandertal. La medesima cosa sarebbe avvenuta tra i sapiens e i Denisoviani.

I gruppi sono stati interfertili, dunque. Ma non completamente. Appartengono, dunque, a una medesima specie o vale ancora la vecchia tassonomia, che li indica come specie diverse? Sono quasi specie?

Se questa ambiguità si è manifestata nel genere Homo, figurarsi cosa è avvenuto e cosa avviene ancora tra generi filogeneticamente più antichi e demograficamente più numerosi. La verità è che la natura difficilmente si uniforma alle nostre esigenze di classificare. E con la sua ambiguità ci pone non solo sfide teoriche, ma anche pratiche. Se il concetto di specie è così sfuggente, cosa dobbiamo intendere per biodiversità? E cosa dobbiamo intendere per conservazione della biodiversità?

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