[02/02/2011] News

L'Egitto preoccupa anche FederPetroli Italia: «A rischio frenata petrolifera». Vengono a galla le complicitą occidentali

LIVORNO. In questi giorni di sangue e proteste in Egitto, durante i quali un satrapo filo-occidentale è stato messo in ginocchio dalla rivolta del suo popolo, in pochi hanno ricordato un dato evidente e richiamato spesso orgogliosamente quando in nostri governanti abbracciavano Hosni Mubarak quasi con lo stesso trasporto amoroso che sarebbe toccato alla sua "nipotina" Ruby Rubacuori: l'Italia è il secondo partner commerciale dell'Egitto, e non solo per i turisti che esportiamo a Sharm el Sheik

Cosa ci sia davvero in ballo (e indirettamente quali siano le complicità con il regime fascista di Mubarak) ce lo ricorda aggi il presidente della FederPetroli Italia, Michele Marsiglia, che evoca il rischio di una frenata petrolifera per l'Italia se situazione peggiora.

«Dopo l'annuncio del presidente Mubarak - si legge in un comunicato di FederPetroli - non si placa quella che possiamo definire una guerra politica, istituzionale, popolare che sta investendo l'Egitto da qualche giorno. Preoccupazione sui mercati internazionali per le quotazioni petrolifere che in pochi giorni hanno subito forti oscillazioni».

Marsiglia ricorda che «L'Egitto è ritenuto Paese di equilibrio politico e religioso in Medio Oriente, piazza di discussione che possiamo definire neutrale rispetto ad altri Paesi a maggioranza islamica. L'intervento del presidente Obama, qualche tempo fa, fu proprio all'Università Al-Azhar del Cairo, scelta motivata dalla Casa Bianca come miglior location dove poter esprimere opinioni, tesi ed idee sulla situazione mediorientale. La situazione è delicatissima in particolar modo per l'Italia, dove parte delle poche raffinerie presenti sulla penisola hanno da mesi attuato un piano di conversione optando per politiche di solo stoccaggio ed abbandonando la raffinazione. Questo porta ad un fabbisogno interno che sarà soddisfatto con importazione di greggio e derivati e prodotti già raffinati pronti per essere destinati al mercato del consumo».

I petrolieri italiani (che non disdegnano affatto di fare affari anche con i regimi islamici radicali, vedi Iran) sono già pronti comunque a salire sul nuovo cavallo "democratico" che tenga a bada i Fratelli Musulmani: «Conosciamo l'incarico avuto da El-Baradei come guida dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, curriculum da considerarsi vincente per una presidenza in un Egitto stretto tra la morsa di Paesi con una diplomazia vigente di notevole delicatezza. L'Egitto ed in particolar modo Suez hanno sempre rappresentato un varco per migliaia di operatori del settore dell'Oil & Gas e non solo. In soli tre giorni abbiamo già verificato un rallentamento nelle consegne della filiera petrolifera, i costi dei noli sono saliti di un delta giustificato solo in situazioni di tipo bellico, a seconda della logistica armatoriale per oltrepassare il Canale di Suez - conclude Marsiglia - Il monitoraggio della FederPetroli Italia e strutture collegate in questi giorni sarà continuo anche sulle disponibilità di prodotto dal Medio Oriente, alcune aziende stanno già correndo ai ripari procurando scorte in previsione di un peggiorare della situazione».

Mentre i nostri petrolieri pensano al greggio L'Alto commissario dell'Onu per i diritti dell'uomo, Navi Pillay, ha esortato le autorità egiziane a tener conto delle richieste del popolo e ad avviare le riforme politiche necessarie, e a rispettare i diritti umani e la democrazia. Che tradotto in arabo vuol dire via Mubarak e il suo nuovo governo di impresentabili.

FederPetroli ha comunque ragione ad essere preoccupata: le rotte del greggio rischiano di essere bloccate dal sangue delle centinaia di vittime e delle migliaia di feriti della rivolta egiziana contro un caro amico dell'Europa, degli Usa e soprattutto di Israele.

«Il movimento popolare in Egitto, senza precedenti da decenni, è stato condotto in una maniera coraggiosa e pacifica - ha detto la Pillay - Il mondo intero scruta le reazioni del Presidente e del nuovo governo di fronte alle proteste che continuano a chiedere un cambiamento radicale su un largo ventaglio di diritti: civili, politici, sociali, culturali. L'Alto commissario dell'Onu ha detto che il popolo egiziano sembra «Rigettare un sistema che lo ha privato del godimento dei suoi diritti fondamentali», un sistema al quale hanno partecipato, anche con la semplice indifferenza, le multinazionali petrolifere e molte imprese italiane.

La Pillay è durissima: «Penso che il governo egiziano, mantenendo lo stato di emergenza durante 30 anni, ha chiaramente dimostrato che i diritti umani non facevano parte delle sue priorità». Dal 1981, dopo l'assassino del golpista Sadat insignito del Nobel per la Pace, la legge dello stato di emergenza non è mai stata tolta, permettendo al regime di Mubarak ogni abuso, tortura e violenza contro i suoi oppositori islamici e di sinistra. Ora la Pillay ricorda agli smemorati ed impauriti politici e imprenditori occidentali che «Il rispetto dei diritti umani è fondamentale per la democrazia, non è sorprendente constatare che una gran parte della popolazione (...) Ho esortato tutti I governi, nella regione e fra tutti I loro alleati, a riflettere sul fatto che, a lungo termine, la stabilità non dipende da un apparato di sicurezza spietato o da un'alleanza di militari ma da uno sviluppo dei diritti umani e della democrazia. Questi sono i principi sui quali le Nazioni Unite sono state fondate. La stabilità non può essere affrontata unicamente dall'angolazione della sicurezza. E' un metodo a breve termine che è condannato al fallimento».

Come dire (e per l'ennesima volta) i giacimenti del petrolio e le sue rotte non si difendono con le baionette dei dittatori amici o con le guerre di invasione... C'è sempre un'Iran, una Tunisia ed un Egitto dietro l'angolo imprevedibile della storia.

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