[21/01/2011] News

Alla ricerca (e allo studio) di una macroeconomia ecologica

ROMA. Mentre la situazione globale economico finanziaria non fornisce segni di significativa ripresa, la situazione globale dei sistemi naturali sembra peggiorare sempre di più. Come già indicato ai primi di dicembre dal grande climatologo James Hansen, direttore del prestigioso Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA e autore dell'ottimo volume "Tempeste" edizioni Ambiente, il dato conclusivo del 2010 ha fatto registrare l'anno che si è appena chiuso come quello che si colloca in una situazione pari a quella del 2005, come anno più caldo da quando esistono le registrazioni strumentali della temperatura media della superficie terrestre, cioè da 131 anni. Un ulteriore segnale di un trend ormai molto significativo che dimostra chiaramente il mutamento climatico in atto confermato dal fatto, come ricorda Hansen, che il 2010 ha registrato alcuni fenomeni significativi che normalmente agiscono come "raffreddanti" della temperatura, quali La Nina ed una ridotta inattività solare. L'Organizzazione Meteorologica Mondiale (World Meteorological Organization) ha incluso allo stesso livello del 2005 e del 2010 anche il 1998 (vedasi il sito www.wmo.int)

I segnali che ci indicano la necessità di cambiare la nostra marcia, ancora costantemente indirizzata sulla strada del continuo perseguimento della crescita economica, sono sempre più chiari. Costruire e praticare un nuovo sistema economico non costituisce certamente un compito facile ma il lavoro teorico e pratico di tanti studiosi, gruppi di ricerca, istituzioni, organizzazioni e comunità che stanno agendo per il cambiamento in tutto il mondo ci aiuta a tratteggiare e ad esplorare nuove strade concrete e praticabili, rispetto all'attuale.

L'ottimo volume dell'economista britannico Tim Jackson, dell'Università del Surrey, ("Prosperity without Growth", edizioni Earthscan)  già più volte citato nelle pagine di questa rubrica (e che uscirà a marzo in italiano  edito da Edizioni Ambiente) indica alcuni elementi chiave che devono caratterizzare una nuova economia.

Per ottenere un'economia sostenibile è fondamentale fissare dei "tetti" massimi per l'utilizzo delle risorse e per le emissioni prodotte, stabilendo obiettivi di riduzione al di sotto di tali valori. Ad esempio, gli obiettivi di stabilizzazione e i "budget delle emissioni" di gas serra, oggetto dei negoziati internazionali sui cambiamenti climatici, costituiscono un tipico esempio di questo tipo di azione.

Tali "tetti"che derivano dall'analisi dei limiti ecologici, devono essere considerati in base al principio di equità. In questo senso può risultare molto utile il modello noto come "contrazione e convergenza", in cui si definisce una quantità ammessa, pari per tutti, in modo che ognuno tenda ad allinearsi a un livello sostenibile con chi deve inevitabilmente ridurre e quindi "scendere" e chi, invece, può "salire" per raggiungere il "tetto" indicato. è un approccio adottato in parte per le emissioni, ma si potrebbero stabilire tetti simili anche per l'estrazione delle risorse non rinnovabili scarse, la produzione di rifiuti (in particolare rifiuti tossici o pericolosi), il consumo di acqua fossile e il tasso di sfruttamento delle risorse rinnovabili. Si dovrebbero anche prevedere meccanismi efficaci per il raggiungimento degli obiettivi al di sotto di questi tetti, come ha proposto, tra gli altri, il primo World Resources Forum, tenutosi a Davos nel 2009 (vedasi www.worldresourcesforum.org) .

L'interiorizzazione delle esternalità prodotte dalle attività economiche è un principio ormai accettato da almeno vent'anni. Imporre una tassa sulle emissioni, per esempio, fornisce un segnale forte e chiaro sul valore che diamo al sistema climatico e incoraggia gli individui, le istituzioni, le imprese ad utilizzare processi, tecnologie e attività a basso impatto. Una soluzione di questo tipo è già stata prevista dai cosiddetti "meccanismi flessibili" del Protocollo di Kyoto e dallo schema europeo di commercio dei diritti di emissione (EU-ETS, Emissions Trading Scheme) e permette lo scambio di permessi al di sotto del tetto stabilito. Un'estensione interessante di questa logica è l'idea di una riforma fiscale ecologica, che sposti la pressione dagli elementi economici positivi (come il reddito) a quelli ecologici negativi (come l'inquinamento). Le tasse sulle emissioni, per esempio, potrebbero essere fiscalmente neutre in modo da non pesare su imprese e famiglie, e potrebbero essere compensate da sgravi per i datori di lavoro. Questa logica si è sviluppata nel corso di almeno un decennio, con implementazioni di varia entità in tutta Europa, ma purtroppo, come ci ricorda Jackson, siamo ancora ben lontani dal veder realizzata una riforma fiscale ecologica significativa.

E' evidente che per le nazioni più povere va fatto spazio alla crescita di cui hanno vitale bisogno. Tuttavia l'espansione di queste nazioni deve comportare anche l'esigenza di assicurare, da subito, che il loro sviluppo sia sostenibile e rimanga entro i limiti ecologici del pianeta. In particolare sono necessari solidi meccanismi di finanziamento che mettano quantità sufficienti di risorse a disposizione dei paesi in via di sviluppo. Le Nazioni Unite hanno già individuato un meccanismo del genere: il cosiddetto Fondo globale per l'ambiente o GEF (Global Environment Facility).  La situazione dei paesi cosidetti in via di sviluppo presenta anche un'altra questione problematica: quale effetto avrebbe sulle loro esportazioni una riduzione dei consumi nelle economie avanzate? In realtà oggi alcuni studi indicano che nel lungo periodo il problema potrebbe essere meno spinoso del previsto, perché nei paesi di recente industrializzazione la crescita dipende soprattutto dai consumi nazionali e dal commercio con altre nazioni simili. Tuttavia per qualche tempo sarà necessario dare un sostegno strutturale alla transizione verso un'economia sostenibile dei paesi in via di sviluppo. Il finanziamento, sia degli investimenti sia di queste esigenze strutturali, potrebbe derivare da varie fonti, tra cui una tassa sull'anidride carbonica pagata dalle nazioni più ricche per le importazioni dai paesi in via di sviluppo oppure una Tobin tax sulle transazioni in valuta estera.

Tim Jackson fornisce nel suo volume, una chiara dimostrazione che un'economia fondata sull'infinita espansione dei consumi materialistici, basati a loro volta sull'indebitamento, è insostenibile dal punto di vista ecologico, problematica da quello sociale e instabile da quello economico. Per cambiare le cose occorre quindi sviluppare una nuova macroeconomia della sostenibilità . Abbiamo bisogno di un motore economico la cui stabilità non dipenda dalla continua crescita dei consumi e dall'espansione del throughput materiale. Dobbiamo costruire questo modello il prima possibile, e ci sono vari modi in cui la politica può aiutarci a farlo. Un passo cruciale è sviluppare le competenze tecniche relative a quella che Jackson definisce "macroeconomia ecologica". In sostanza questo significa che dobbiamo riuscire a prevedere la reazione dell'economia all'imposizione di limiti più stretti su emissioni e utilizzo delle risorse, e quindi riuscire a ipotizzare scenari caratterizzati da diverse combinazioni di consumi, investimenti, occupazione e crescita della produttività.

Per questo è fondamentale rivedere ciò che pensiamo di sapere sulla produttività del lavoro e del capitale. Inseguire continui miglioramenti di produttività del lavoro costringe l'economia a crescere per mantenere costante l'occupazione; ma questa logica potrebbe non essere applicabile nel caso di conversione dell'economia a servizi caratterizzati dall'impiego di un numero maggiore di persone per unità di output . Nell'Unione Europea l'impatto della produttività del lavoro decrescente è già un problema. Invece di cercare di contrastare questa tendenza, sarebbe meglio dare inizio a una transizione strutturale verso attività e settori a basso impatto e ad alta intensità di lavoro. Un altro elemento chiave è costituito infatti dal cosiddetto "investimento ecologico" . Anche in questo caso riveste un ruolo centrale la produttività, ma questa volta si tratta di quella del capitale. Gli investimenti ecologici avranno tassi di rendimento e periodi di recupero diversi ed è probabile che, valutati secondo le tecniche tradizionali, risulteranno "meno redditizi" di altri. Per questo sarà opportuno tenere conto anche delle condizioni e degli obiettivi di tali investimenti. Inoltre la nuova macroeconomia dovrebbe tenere conto in qualche modo del valore del capitale naturale e dei servizi forniti dagli ecosistemi. Alla fine anche queste voci dovranno essere integrate nella valutazione dello stock di capitale, nelle funzioni di produzione e nel calcolo dei flussi di consumo. Jackson ci ricorda che riuscire a far funzionare tutto questo rappresenta una sfida enorme, ma appassionante. Non abbiamo modelli precedenti a cui fare riferimento per sviluppare un nuovo e coerente quadro macroeconomico della sostenibilità, ma questa è l'occasione di stimolare giovani e brillanti economisti a elaborare un'economia adatta al futuro.

Considereremo i punti successivi nella rubrica della prossima settimana.

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