[18/01/2011] News

Hu go to Washington. La Cina fa affari e mette i paletti per evitare una nuova guerra fredda

LIVORNO. Inizia oggi, tra timori (soprattutto americani) e speranze la visita del presidente cinese Hu Jintao negli Usa, a 40 anni dalla ripresa delle relazioni tra i due Paesi che oggi si trovano ad essere le due superpotenze politico-economico-militari del mondo.

Il presidente della Repubblica popolare visita il cuore malato dell'Occidente con in tasca già molto del suo debito e delle azioni delle sue banche e delle sue imprese, in cerca di un accordo per relazioni bilaterali per costruire quella che oggi l'agenzia ufficiale cinese Xinhua definisce «Una nuova era». La visita presidenziale è stata preparata meticolosamente: recentemente il ministro degli esteri Yang Jiechi aveva detto davanti al Council on foreign relations, un influente think tank Usa, che coinciderà con il secondo anniversario dell'amministrazione Obama.

«In questi due ultimi anni, i due Paesi hanno conosciuto scambi e comunicazioni a tutti i livelli una forte volontà di rafforzare la loro cooperazione, maggiori convergenze di interessi, una partecipazione più ampia e più approfondita dei due popoli agli sforzi per migliorare le relazioni bilaterali, la comunicazione ed il coordinamento sulle maggiori questioni regionali ed internazionali, senza precedenti per tutti gli aspetti», ha sottolineato Yang.

Stapleton Roy, ex ambasciatore Usa in Cina e direttore del non certo progressista Kissinger Institute Cina-Usa, ha confermato soddisfatto: «Le relazioni tra la Cina e gli Usa in questi due ultimi anni continuamno ad essere molto vigorose con degli impegni a tutti i livelli. Benché i due Paesi siano stati colpiti dalla recessione economica mondiale, la relazione economica continua ad essere moolto attiva e I due Paesi cooperano in altri settori e su numerosi punti».

Un esempio di tutto è quello che è avvenuto ieri a Houston, nella roccaforte repubblicana del Texas, dove le imprese cinesi (guidate dal ministro del commercio Wang Chao) ed americane hanno cominciato a sroltolare il tappeto rosso per Hu firmando 6 accordi per 574 milioni di dollari. Uno riguarda lo sviluppo di celle solari in silicio cristallino e di sistemi fotovoltaici, due l'importazione di cotone e gli altri l'importazione di porcellana, l'importazione di materiali sfusi e un protocollo d'intesa tra la Camera di commercio cinese per l'importazione di macchinari e prodotti elettronici e la Greater Houston Partnership, la "Confindustria" di Houston.

Intanto la cina ha già messo i paletti per delimitare il confine da non varcare durante questa storica visita di Hu in America. Il vice-ministro degli esteri Cui Tiankai, ha già detto no al cosiddetto G2 Cina-Usa: «La Cina e gli Usa sono due Paesi con un'influenza mondiale. Hanno condotto consultazioni e cooperazioni a proposito dei conflitti regionali, di lotta al terrorismo, di mantenimento del meccanismo internazionale di non proliferazione (nucleare)] e di fronte ad altri problemi internazionali».

Cui ha anche ricordato il comune impegno per affrontare d la crisi finanziaria nell'Asia-Pacifico e nel mondo e per la riuscita dei negoziati Unfccc di Copenhagen e Cancun, ma... «I due Paesi hanno anche in comune lo stesso bisogno di mantenere la pace e la stabilità nella penisola coreana e di realizzare la sua denuclearizzazione». Inoltre la Cina non si scorda dei conflitti territoriali con Usa e Giappone per alcuni piccoli arcipelaghi e soprattutto delle forniture di armi a Taiwan.

Se il G2 è impensabile i cinesi sanno bene che i loro investimenti ed acquisti negli Usa ormai sono colossali (e si lamentano che siano troppo ostacolati) e che Cina ed Usa rappresentino l'uno per l'altro il secondo partner commerciale: gli investimenti americani in Cina hanno superato i 60 miliardi di dollari e quelli cinesi negli Usa hanno raggiunto almeno i 4,4 miliardi di dollari. Secondo Craig Allen, del ministero del commercio Usa, «Nel 2010 le esportazioni americane verso la Cina sono aumentate del 34% e dovrebbero superare i 100 miliardi di dollari nel 2011». Anche per questo la gigantesca delegazione cinese è imbottita di 300 imprenditori che rappresentano 200 company che operano in settori come l'energia, le tecnologie, la protezione ambientale, l'elettronica, la chimica, la farmacia, l'agricoltura e le banche

Hu Jintao ieri ha proposto sul Wall Street Journal e il Washington Post quattro punti per migliorare le relazioni Cina-Usa: «Primo, dobbiamo intensificare i nostri dialoghi e contatti ed accrescere la fiduicia comune. Secondo, dobbiamo abbandonare questa mentalità da guerra fredda, guardare allo sviluppo di ciascuno in maniera obiettiva e sensibile, rispettare la scelta del modello di sviluppo di ciascuno e spingere il nostro sviluppo commune attraverso una operazione win-win. Terzo, dobbiamo rispettare reciprocamente la sovranità, l'integrità territoriale e gli interessi dello sviluppo, così come trattare in maniera appropriata le questioni riguardanti gli interessi importanti di ciascuno. Quarto, dobbiamo proseguire, senza sosta, i nostri sforzi per ampliare le nostre convergenze e perché la Cina e gli Usa possano beneficiare di una più ampia cooperazione».

Hu ha anche scritto che la Cina darà il suo contributo alla ripresa mondiale stimolando anche la domanda interna e che con «Considera lo sviluppo scientifico come il suo principale tema e si concentra su una trasformazione più rapida del modello di sviluppo economico. La Cina applicherà una politica fiscale proattiva ed una politica monetaria prudente, accelererà la ristrutturazione economica, rafforzerà vigorosamente la sua innovazione, farà grandi progressi nel risparmio energetico e nella riduzione dell'inquinamento, continuerà ad approfondire la riforma e l'apertura, lavorerà duramente per assicurare il miglioramento delle condizioni di vita del popolo, realizzerà dei successi nella lotta contro la crisi finanziarioa internazionale, manterrà una crescita economica stabile e relativamente rapide e promuoverà la stabilità e l'armonie sociale».

Ma i cinesi non vogliono nemmeno discutere di due cose: la democrazia interna e il fatto che siano e rimangano il più grande Paese in via di sviluppo del mondo che ha il diritto di creare una società prospera e moderna senza interferenze esterne.

Per non lasciare dubbi ad Obama, Hu ha messo nero su bianco sul Wall Street Journal e sul Washington Post che «La democrazia popolare è la ragione stessa del socialismo e la Cina si atterrà allo sviluppo di una democrazia socialista. Senza democrazia non c'è modernizzazione socialista».

Il problema è che per democrazia i comunisti cinesi intendono il loro regime e la rappresentanza di Partiti non-comunisti graditi al regime. Il problema è che il concetto di democrazia per i cinesi e molto diverso (fino ad essere "alieno") da quello della democrazia occidentale che non hanno masi conosciuto.

«Sviluppare la democrazia socialista - scrive il presidente cinese - è un obiettivo al quale abbiamo sempre aspirato. La riforma cinese è globale e riguarda l'economia, la politica, la cultura e la ristrutturazione sociale». Una riforma che da 30 anni procedere sotto la paterna guida del partito che, alla bisogna, sa essere spietata con i dissidenti e i riottosi.

Hu spiega agli americani che «La ristrutturazione politica deve approfondirsi insieme allo sviluppo sociale ed economico e soddisfare l'entusiasmo crescente del popolo di prendere parte agli affari politici. La ristrutturazione che la Cina persegue ha per obiettivo di far progredire l'auto-perfezionamento e lo sviluppo del sistema politico socialista. Continueremo ad ampliare la democrazia popolare e ad edificare un Paese socialista dove regna la legge, in funzione delle condizioni nazionali della Cina. Definiremo le istitutuzioni, I criteri e le procedure per una democrazia socialista, per allargare la partecipazione ordinata del popolo negli affari politici a tutti i livelli ed in tutti i settori, per mobilitare e coinvolgere il più ampiamente possibile il popolo nella gestione degli affari nazionali e sociale negli affari economici e culturali in virtù della legge e per far progredire in maniera costante la costruzione di una civilizzazione politica socialista».

Che questa civilizzazione socialista sia diventata un turbocapitalismo di Stato che si nutre dei pochi diritti e dei bassi salari della classe operaia e dei contadini cinesi, che il socialismo avrebbe dovuto liberare dal bisogno e dallo sfruttamento, è un particolare che non sembra interessare molto Hu Jintao... e che soprattutto non deve interessare ad Obama.

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