[14/01/2011] News

La "resa" di Ben Ali, il futuro della Tunisia e l'Italia che dimentica e rimuove

Mentre chiudiamo il giornale arriva la notizia che Ben Ali è fuggito all'estero, governo destituito, stato d'emergenza, Ghannouchi presidente ad interim.
Proseguono le manifestazioni di protesta con nuovi scontri. Tredici morti nei disordini di ieri. Forze di sicurezza autorizzate ad aprire il fuoco.
Probabilmente siamo al golpe militare per salvare quel che resta del regime


LIVORNO. Il mite popolo tunisino che riempie i nostri pescherecci, ci serve nei villaggi vacanze e lavora per pochi dinari nelle centinaia di fabbriche e fabbrichette della nostra patriottica industria che non ha aspettato gli aut-aut di Marchionne per delocalizzare all'estero, ha costretto l'inamovibile presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali a cedere per la prima volta a quella che il 19 dicembre era partita come l'ennesima minoritaria ed inconcludente rivolta del pane, e che si è trasformata nella rivoluzione dei gelsomini che rischia di affascinare con il suo profumo i giovani di tutto il mondo arabo e di stordire i cosiddetti regimi "moderati", che tengono ormai da anni sotto controllo la rabbia dei poveri con l'autoritarismo e la corruzione.

Stanotte un insolitamente abbacchiato Ben Ali è apparso in televisione per «Basta violenza! Basta violenza! Io dico fermiamo il ricorso a sparare proiettili veri», proprio quello che aveva autorizzato solo pochi giorni fa per affogare nel sangue e nel terrore il magmatico ed acefalo movimento popolare tunisino guidato dai giovani, cioè dalla stragrande maggioranza della popolazione.

Chissà cosa pensavano i figli di Ben Ali, già scappati in Canada a godersi il frutto di 23 anni di rapine, sentendo il loro padre dire senza vergogna e con la protervia dei padroni senza mai colpa: «Gli spari con proiettili veri non sono accettabili e sono ingiustificabili», ma soprattutto quando lo hanno sentito annunciare l'istituzione di una commissione indipendente «Per determinare le responsabilità di tutte le parti, tutte le parti senza eccezione», in un Paese dove ogni voce indipendente è esiliata o in galera, dove si arrestano rapper e poeti, dove si torturano comunisti, sindacalisti e fratelli musulmani per una semplice e-mail o per aver scritto su un blog?

Ora Bel Ali, davanti alla rabbia immensa che il suo popolo mite e paziente ha covato come un uovo avvelenato, annuncia che non si ripresenterà alle prossime elezioni dopo aver fatto carne di porco delle precedenti ed azzerato ogni partito, movimento, organizzazione che non fossero organici e funzionali allo Stato mafioso messo in piedi grazie alle premurose complicità dei governi e dell'imprenditoria occidentali, in un Paese dove mafia e imprese italiane possono fare affari comuni alla luce del sole, con la complicità di un regime nato con un colpo di Stato che, come confermano anche i dispacci di WikiLeaks, è stato progettato a Roma, nelle stanze di un ormai preistorico pentapartito, e svezzato e nutrito dall'indifferente complicità di tutti i governi italiani e francesi.

Ora la cleptocrazia tunisina annuncia per bocca del suo capobanda che il governo procederà ad abbassare i prezzi dei prodotti e dei servizi di base ed aumenterà il bilancio per i servizi sociali ed annuncia piena libertà per una stampa incistata dal regime e il libero accesso ai siti internet che erano diventati l'unico inaccessibile rifugio dell'opposizione e dei giovani che hanno covato sulle pagine virtuali, strappate quotidianamente alla censura con una guerriglia e una resistenza digitale, la rivoluzione dei gelsomini. Mentre annunciava il suo fermo attaccamento alla libertà di espressione politica, compresa la manifestazione pacifica, e il rafforzamento di una democrazia inesistente e truccata e la promozione del pluralismo,. Ben Ali probabilmente contava mentalmente quanti prigionieri politici ed esuli, quanti comunisti e sindacalisti dovrà far uscire dalle patrie galere o dal loro doloroso esilio.

Non è mancato l'avvertimento finale, l'ultimo sussulto proprio a tutti i dittatori senili che guardano increduli al popolo che si ribella invece di essere grato: «Per proteggere e rispettare la Costituzione del Paese, mi rifiuto di rimettere in questione la condizione dell'età pel l'eleggibilità alla presidenza della repubblica».

Ma probabilmente Ben Ali non sarà per molto un problema per il suo popolo, la crepa del suo potere, aperta dal sangue e dai suicidi dei suoi giovani laureati/disoccupati, è già una voragine incolmabile. Quel che accadrà dopo di lui è invece un bel problema per l'Italia e per gli altri alleati di questo regime ingordo.

La Tunisia della rivoluzione dei gelsomini è priva di una classe dirigente alternativa, Ben Ali ha tagliato la testa all'opposizione, teme perfino il piccolo Parti communiste des ouvriers de Tunisie che ha riempito più le celle e le camere di tortura che le piazze, la rivoluzione è senza capi (e non li vuole nemmeno) e gli intellettuali dissidenti sono tutti in esilio. In un Paese dove l'imprenditoria italiana ha, nel bene e nel male, investito è impossibile che l'Italia non sia assuma la responsabilità di quanto è successo anche grazie al suo discreto neo-colonialismo e soprattutto che non si ponga il problema di quel che accadrà, del post Ben Ali che è già cominciato, della frana sanguinaria e vergognosa di un regime senza opposizione.

E l'Italia e la Francia sono i Paesi che più devono stare attenti perché, una volta regolati i conti con il regine, i tunisini sapranno bene a chi chiedere il conto delle complicità politiche ed economiche che hanno trasformato il loro Paese in una caserma che vigilava sulla tranquillità degli investimenti turistici ed industriali degli stranieri.

La sconfitta di Ben Ali è anche quella di un colonialismo italiano dimenticato e rimosso dai nostri cuori e dai nostri giornali, trasformatosi in un neocolonialismo negato che ci ha portato ad appoggiare dittatori indecenti come quello  "socialista" del carabiniere italiano Siad Barre che con la sua rovinosa caduta ha trasformato la Somalia in uno Stato fantasma dove andiamo a scaricare le nostre scorie radioattive e tossiche, o il regime stalinista del Derg di Menghistu in Etiopia che ha assassinato migliaia di oppositori, o quello di un altro indecente dittatore come Isaias Afewerki che ha trasformato il sogno dell'indipendenza dell'Eritrea in un incubo militaresco dal quale i suoi giovani scappano terrorizzati..

Forse l'Italia, guardando al futuro della Tunisia che abbiamo neo-colonizzato con questa imbarazzante keason diffusa con la cricca del dittatore, farebbe bene a guardare, per evitarlo, a quel che successe nel 1971 in un'altra dimenticata colonia italiana, quando un golpe militare depose senza tanta fatica il re Idris e iniziò ad espellere tutti i lavoratori ed i coloni italiani complici del vecchio regime e vittime sacrificali del brutale colonialismo fascista. Si tratta della Libia dell'eterna dittatura di Gheddafi, quella che, grazie a miliardari indennizzi "di guerra" e a lucrosi contratti petroliferi e infrastrutturali, oggi tiene lontani dalle nostre coste i disperati somali, eritrei, etiopi delle nostre dimenticate e rimosse colonie di oltremare e i tunisini del nostro neo-colonialismo delle delocalizzazioni. 

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