[07/01/2011] News toscana

I liquidatori non sono obbligati alla rimozione dei rifiuti: la sentenza del Tar su un caso di Pontremoli

LIVORNO. L'ordine del sindaco di smaltire i rifiuti speciali, pericolosi e non, presuppone l'accertamento di una responsabilità a titolo quantomeno di colpa in capo all'autore dell'abbandono dei rifiuti, ma anche del proprietario o del titolare di altro diritto reale o personale sull'area interessata, che venga chiamato a rispondere in solido dell'illecito. Ma se non vi è alcun elemento che consenta di attribuire la corresponsabilità dell'abbandono alla iquidazione giudiziale, né della società operativa, né della ditta proprietaria dell'area - non essendovi prova - non è possibile ordinare a questi la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti.

Sicché, in assenza dell'individuazione di un'univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore stesso sull'abbandono dei rifiuti, nessun ordine tanto meno di ripristino può essere imposto dal Comune alla liquidazione giudiziale.

Lo ricorda il Tribunale amministrativo regionale della Toscana (Tar) che con sentenza dello scorso mese si pronuncia sulla questione riguardante il Comune di Pontremoli e la liquidazione giudiziale dei beni ceduti ai creditori di un'impresa di costruzione.

Un'impresa che ha incorporato per fusione un ulteriore impresa, che a sua volta, ha acquistato alcuni terreni oggetto di una convenzione di lottizzazione con il Comune di Pontremoli. E che ha successivamente stipulato un contratto d'appalto per la realizzazione di alcune opere.

Però, le opere non sono state realizzate quindi, il contratto è stato consensualmente risolto prevedendo l'obbligo per la ditta appaltatrice di rimuovere il materiale e i rifiuti abbandonati in cantiere. Tuttavia, nonostante le numerose sollecitazioni l'impresa non ha provveduto all'adempimento.

Conseguentemente, il sindaco ha ordinato all'impresa edile e alla liquidazione giudiziale dei beni della medesima la rimozione e il successivo recupero e smaltimento dei rifiuti, oltre al ripristino dei luoghi, avvertendo che, in difetto, avrebbero trovato applicazione le sanzioni.

Ma non pare che il Comune abbia fornito - se non in termini presuntivi - la prova che il deposito di rifiuti sia riferibile alla condotta dell'impresa o della Liquidazione.

Anzi, la condotta che, implicitamente, l'amministrazione comunale ascrive all'impresa e alla liquidazione è piuttosto quella di non aver vigilato affinché nell'area in questione non fosse consentito il libero accesso a terzi. Affermazione, fra l'altro che appare priva di fondamenti perché l'accesso alla zona era idoneamente vietato agli estranei (l'area in questione era originariamente circondata da una recinzione metallica e munita il suo ingresso). E anche perché non può essere addossato al proprietario del bene un onere di vigilanza ulteriore al di là di quello che scaturisce dall'esercizio dell'ordinaria diligenza.

Il dovere di diligenza che fa carico al titolare del fondo, non può arrivare al punto di richiedere una costante vigilanza: non può essere spinto, ordinariamente al di là di tale confine, fermo restando che, a tal fine, non è sufficiente una generica "culpa in vigilando".

 

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