[13/12/2010] News

Cancun in chiaro scuro. Ai negoziati sul clima fa bene un'America "debole"?

LIVORNO. L'esito della Cop 16 dell'Unfccc di Cancun è inaspettatamente "positivo", è innegabile che passi avanti siano stati fatti, impegni presi, una strada tracciata, forzando il recinto del deludente accordo di Copenhagen e guardando con un filo di ottimismo in più alla Cop 17 del Sudafrica, sperando che a Durban si metta un punto fermo e cifre vere dietro quelle che oggi sono almeno buone intenzioni. 

Il risultato di Cancun è soprattutto merito degli sforzi dei padroni di casa, i messicani, ai quali alla vigilia della Conferenza nessuno dava un pesos bucato di credibilità e di autonomia rispetto all'ingombrante vicino statunitense, e questo anche se il Messico nell'anno trascorso tra Copenhagen e Cancun aveva tessuto diversi rapporti e stipulato alleanze in Europa e in giro per il mondo perché la Cop 16 non fosse un fallimento totale.

Qualche giorno fa un nostro titolo "Donne a Cancun" aveva fatto dire a qualche lettrice: «Quando scriverete anche "uomini" a Cancun?», ma è innegabile che la Cop16 sia stata dominata dal pragmatismo, dalla forza e dall'empatia delle donne e di due latinoamericane sopra tutte: Patricia Espinosa, ministro degli esteri del Messico, e Christiana Figueres, segretaria esecutiva dell'Unfccc, che è riuscita a disincagliare i negoziati dalle secche di Copenhagen dove li aveva lasciati il suo predecessore maschio Yvo de Boer.

C'è però anche un altro aspetto che forse andrà valutato con più calma dopo che emergeranno altri particolari sulla trattativa bollente delle ultime 20 ore di negoziati a Cancun: quanto ha pesato la debolezza statunitense e quanto la rafforzata coalizione del Basic (Brasile, Sudafrica, India e Cina) che a Copenhagen si adattò ad un Accordo (che non bisogna nasconderselo è ancora alla base di quello di Cancun) con un Obama ancora rampante, ma già ferito dalla contrarietà del suo Parlamento al pacchetto di misure salva-clima.

La presunta forza di Obama un anno fa ha prodotto un accordo deludente, il basso profilo tenuto dalla delegazione Usa a Cancun ha prodotto passi in avanti, anche se timidi, e la spinta è venuta dal Basic, con un'alleanza meno gridata ma forse più forte con il G77 dei Paesi in via di sviluppo e con un'apertura a impegni nazionali da parte delle grandi economie emergenti che molto probabilmente ha spiazzato gli americani e messo nell'angolo russi e giapponesi che hanno annunciato la morte del Protocollo di Kyoto.  

Se a Bali e Copenhagen il capo-fila dei Kyoto-scettici, il "nemico" da individuare, era facilmente rintracciabile nella delegazione Usa (e nei suoi alleati giapponesi, australiani, canadesi, russi e sauditi) che faceva ostruzionismo su ogni decisione, a Cancun l'unico "nemico" è stata la piccola e poverissima Bolivia di Evo Morales che urla, in tutt'altra direzione, parole di cruda e poetica verità dalla sua fortezza andina del socialismo indigeno.

Anche il capo-delegazione Usa, Todd Stern, Inviato speciale per i cambiamenti climatici di Obama, ha tenuto a Cancun un basso profilo ed è intervenuto solo alla vigilia dell'accordo, il 9 dicembre, con una breve dichiarazione nella quale si è profuso in complimenti con il Messico, ma ha sorvolato sul diktat del Basic e ha solo ricordato che «Lo scorso anno a Copenaghen, il presidente Obama ha raggiunto i leader e gli altri rappresentanti dei Paesi di tutto il mondo per trovare una formula che possa fare da ponte per una grande varietà di interessi e prospettive e per creare un nuovo percorso sui cambiamenti climatici, sul quale tutte le Parti passino insieme. L'Accordo di Copenhagen che ne è risultato non ha trovato un'accettazione universale, ma ha fornito un significativo passo avanti per il nostro lavoro, tra cui per la prima volta un accordo internazionale tra tutte le principali economie del mondo ad implementare le loro azioni di mitigazione e i loro obiettivi in maniera internazionale trasparente, ed ha anche aperto la strada a nuove istituzioni e al sostegno ai  finanziamenti per il clima, la tecnologia, l'adattamento e il Redd».

Insomma un via libera, anche se Stern ha respinto le accuse di disinteresse e taccagneria dicendo che gli Usa hanno lavorato sodo per mettere in atto le decisioni di Obama: «Abbiamo investito più di 90 miliardi di dollari per trasformare il modo in cui il nostro paese produce e consuma energia, e approvato una serie di nuovi regolamenti ed altro per ridurre le emissioni. Continueremo a lavorare strenuamente con il nostro Congresso per soluzioni normative per rafforzare la nostra sicurezza energetica e al tempo stesso per ridurre le emissioni di gas serra. Abbiamo anche assicurato circa 1,7 miliardi di dollari di assistenza climatica nel nostro primo anno di finanziamento Fast Start, che sosterrà le attività di adattamento per i Paesi più vulnerabili in tutto il mondo, combattere la  deforestazione nelle foreste tropicali con la maggiore biodiversità mondo, e per aiutare a mettere i Paesi sulla strada di uno sviluppo low carbon. Questo è solo il primo di tre anni e cercheremo di aumentare tale importo in ciascuno dei prossimi due anni».

Forse non è un caso se il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha taciuto per tutto il summit di Cancun e poi ha definito l'accordo «Un passo avanti equilibrato e significativo» ed ha promesso che gli Stati Uniti lavoreranno «Con amici e partner» per dare risposte al global warming.

La Clinton naturalmente fa buon viso a cattivo gioco e sottolinea che «Questi risultati fanno avanzare ciascuno degli elementi chiave dell'accordo di Copenhagen. Hanno fissato gli impegni di riduzione, basati su un sistema di trasparenza, fornendo numerose informazioni dettagliaste su delle consultazioni ed analisi internazionali per assicurare il rispetto degli impegni da parte dei Paesi, avviato un nuovo green fund  contro il cambiamento climatico, creato un quadro per ridurre la deforestazione nei Paesi in via di sviluppo, stabilito un meccanismo in materia di tecnologia e stabilito un quadro ed un comitato per promuovere la cooperazione, l'azione e l'adattamento internazionale».

L'amministrazione Obama sembra voler dire ai repubblicani ed ai molti democratici che flirtano con gli eco-scettici: «Volevate che non ci impegnassimo nei Climate change talks e con l'Unfccc? Ecco il risultato: l'agenda climatica la scrivono gli altri».

Un bel varco nel quale può infilarsi anche l'Unione europea che con la commissaria Ue per l'azione climatica, quella Connie Hedegaard che come presidente della Cop 15 di Copenhagen subì l'Accordo di Cancun, oggi si trova a partire da livelli minimi proposti di tagli delle emissioni del 25%, che aprono la strada al 30% dell'Unione europea. Proprio in quelle cifre che fino a pochi giorni fa l'Italia riteneva indigeribili e irricevibili e che con una discreta dose di trasformismo internazionale (che ormai non meraviglia più) il nostro ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo ha perorato a Cancun dopo averli contrastati a Bruxelles e a Roma. Anche questo però è comunque un passo avanti nel gioco dell'oca climatico.

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