[22/11/2010] News

Alla faccia delle dematerializzazione e due eco-parole su Prodi

LIVORNO. Che i profeti della dematerializzazione non avessero fatto proseliti dentro greenreport, i nostri lettori lo sanno da sempre. Non è quindi per mazzolare per l'ennesima volta il buon Jeremy Rifkin (Nella foto) che segnaliamo quanto riporta oggi il CorrierEconomia (inserto del Corsera) relativamente alla carta stampata nel senso stretto del termine. Non si parla di giornali, ma della "dipendenza cartacea" dalla cui dipendenza "i nuovi supporti digitali come Cd, Dvd e chiavette varie, ci avrebbe liberato".

La famosa «paperless society» non si è mai vista e anzi, nota il CorrierEconomia: «adesso i file li memorizziamo anche su Internet. Andando a intasare il web e aumentando i consumi energetici dei server internet sparsi nel mondo. Una recente ricerca della Camera di Commercio di Milano basata sul registro delle imprese e dati Ceris-Cnr, rivela che ogni anno negli uffici italiani vengono utilizzati 239 miliardi di fogli. Con un costo per le imprese di 1,7 miliardi». Quindi si usa più carta e si consuma più energia, proprio perché le "macchine" sono più efficienti e la carta ancora o piace, o è necessaria ai più, almeno negli uffici italiani.

Ovviamente non c'è da cantar vittoria, si tratta di una brutta notizia, ma per noi è utile a spiegare che con le semplificazioni purtroppo non si rende affatto l'economia più ecologica. Ridurre i consumi di energia e di materia per unità di prodotto è cosa buona, ma se questi prodotti vengono venduti - come è normale in una società fondata sullo shopping - il doppio o il triplo in più ogni anno, non si otterrà mai un risultato, ma anzi vedremo i trend di consumi sempre in aumento. Come si è visto per arrivare a una riduzione di consumi energetici significativa e così anche delle emissioni c'è voluta la più grande crisi dal '29 ad oggi. Dunque è meglio stampare e non leggere sul pc? O archiviare in raccoglitori invece che in Dvd o "nuvolette"? No. Ma pensare che l'era della dematerializzazione fosse alle porte ovvero non per unità di prodotto, bensì riduzione della materia in assoluto nel metabolismo economico, è stato un errore tragico e questo Rifkin e compagni dovrebbero ammetterlo. E' la stessa cosa che peraltro sta succedendo con chi va a raccontare che con la raccolta differenziata i rifiuti diventano "zero". Sono errori di parallasse nei quali si scambia una cosa fatta bene come la soluzione di ogni cosa e ci se ne convince senza sapere e senza voler sapere che cosa succede prima e dopo la raccolta differenziata. E soprattutto che cosa sia nella realtà il problema rifiuti in generale, ovvero che gli urbani causa di tutte le discussioni nazionali sono un quarto dei rifiuti prodotti nel nostro Paese quest'ultimi reietti e noti al "grande pubblico" solo quando i Noe li trovano sparsi per qualche campagna o abbandonati in ogni possibile altrove. Questo ovviamente non vuol dire che bisogna lascia perdere i rifiuti urbani e occuparci solo degli speciali, ma serve per ridare un ordine alle cose anche politicamente. Come ben spiegano le parole di Prodi nell'intervista rilasciata a Affari & Finanza infatti: «I nostri governi hanno molte difficoltà perché sono vittime della paura popolare. E invece di controllare e guidare questa paura, la inseguono. Pensano più alle prossime elezioni che non agli interessi di lungo periodo e del loro paese e dell'intera umanità. Inseguendo gli interessi elettorali non possono evidentemente mettere in atto le azioni necessarie per intraprendere i cambiamenti del mondo». Applicata questa analisi al caos rifiuti emerge in tutta la sua oggettività.

Ma Prodi, che in quel brevissimo suo ultimo governo riuscì a far nascere una cosa come Industria 2015 che è ancora oggi l'esempio più alto di green economy spinta "dall'alto", ne dice un'altra che dovrebbe far riflettere non solo Rifkin ma anche quelli che a ragione si interrogano su crescita e decrescita: «No, non (dovremmo essere) necessariamente (più poveri). Dovremmo certo adattarci a essere meno spreconi, a far conto delle risorse della terra che devono essere ottimizzate e, soprattutto, a valorizzare le risorse umane che sono le uniche che si possono moltiplicare, non dico all'infinito, ma quasi». L'economia ecologica è questo, è non ridurre le complessità a slogan. E' "contare" con quello che hai a disposizione e fare "economia". Se poi ti doti anche di uno strumento per contabilizzare come fai - o non fai - economia e di quello che hai a disposizione (e sempre nel breve governo Prodi si era cominciato a discutere di fare e l'Istat lo ha anche prodotto), l'economia ecologia è ancora meno legata agli slogan.

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