[09/11/2010] News toscana

E’ maturo il tempo per il quale anche la Toscana si doti di una contabilità ambientale

AREZZO. Globalizzazione e finanziarizzazione non hanno per nulla significato de-materializzazione dell'economia, la quale si è retta e si regge su due driver: i flussi di energia e quelli di materia. Questi e quelli rappresentano un metabolismo che, questo sì, ha mutato gli equilibri che la crisi ha ancor più evidenziato anche nella nostra regione.

La contrapposizione sviluppo-ambiente e, ancor più industria-ambiente, si rivela datata esattamente come l'idea di "coniugarli" a prescindere dalla sostenibilità intesa come riproducibilità delle risorse e dei servizi della natura senza i quali non si darebbe economia.

Da qui lo sdoganamento da parte di Obama della green economy. Da qui la parola d'ordine "tornare a crescere" è tanto condivisibile quanto insufficiente.

Insufficiente, perché il meccanismo che si poteva rompere per insostenibilità ambientale si è rotto, invece e prima, per insostenibilità economica.

Si è rotto il trentennale modello occidentale dello "shopping" (che a sua volta aveva sostituito quello del consumismo), basato sulle iperboliche invenzioni di sostituzione e obsolescenza programmata. Si è rotto nel cortocircuito fra emozione dell'acquisto e flussi di materia che hanno intasato le case occidentali e si sono disassati nei paesi emergenti (BRIC-Brasile, Russia, India e Cina) sia come consumatori di materie prime che come esportatori di materia-prodotto.

Fa effetto sentirlo dire da un economista come Tommaso Padoa Schioppa ma è significativo del fatto che la questione ambientale è diventata, a tutto tondo, questione economica. E la questione economica, dopo le sbornie della finanziarizzazione e della (pseudo) de-materializzazione, è ri-diventata questione della manifattura, della sua qualità e della sua sostenibilità sociale e ambientale.

E' così che nei paesi occidentali, Europa in testa, è ri-diventata centrale la programmazione degli approvvigionamenti delle materie prime (commodities),  il risparmio e l'efficienza nel loro utilizzo e il loro ri-utilizzo come materie prime seconde. E' proprio la nuova politica economica della Ue che pianifica l'ottimizzazione dei flussi di materia e che individua il suo perno nella qualità delle materie prime seconde. E' questo il passaggio obbligato per le nuove politiche industriali, al di là ed oltre le politiche ambientali che da oltre un decennio anelano al riciclaggio equivocandolo con le raccolte differenziate. La green economy nei paesi di antica industrializzazione è l'unica chance che la politica ha a disposizione per rilanciare un'economia sostenibile e durevole. E la sostenibilità ambientale, che non può essere uno stato d'animo, deve poter essere misurata e valutata, sia ex ante che ex post, almeno altrettanto attendibilmente del Pil. E' maturo il tempo (e già il primo governo di centro-sinistra lo aveva compreso) per una nuova  e appropriata contabilità delle risorse disponibili e di un loro utilizzo sostenibile in funzione della riproducibilità. E' maturo il tempo per il quale anche la Toscana si doti di uno strumento che emancipi una discussione basata esclusivamente sulla percezione soggettiva - e la proiezione mediatica - e la declini in termini misurabili: una contabilità ambientale dotata di indicatori precisi almeno quanto il Pil.

E questo è, almeno a me sembra, il compito prioritario di una nuova politica economica che, se non vuole tornare al sacrificio ambientale in nome della crisi, deve ambire a ridare dignità e slancio ad un settore manifatturiero che in toscana, come ci ricorda l'Irpet, rappresenta oggi il 15,8% del Pil con la presenza di 50.793 imprese e che solo nel 2000 rappresentava il 22,3%. Senza dimenticarci, come invece è accaduto nel passato,  che le altre 370mila imprese (turismo ed agricoltura incluse) non sono affatto sostenibili per definizione.

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