[27/08/2009] News

Michelangelo Bergia (Compagnia di finanza etica): «Palese conflitto di interessi per i consorzi del riciclo»

LIVORNO. «Le montagne di scarti che la nostra civiltà produce quotidianamente, prima di finire tra i rifiuti, erano materie prime pregiate, ingegno, lavoro dell'umanità al servizio del marketing, del packaging, del merchandising, della distribuzione, della seduzione. Sugli scaffali di un negozio erano tutto questo e possono tornare nel ciclo produttivo.
La gestione dello "scarto" tuttavia è il risultato di una cultura nuova e non solo di una capacità tecnologica.
L'impresa trae dal territorio - ambiente e persone -  e al territorio deve rendere conto. Le grandi imprese, quindi oltre a soddisfare il consumatore offrendo beni e servizi di qualità, devono impegnarsi a risolvere i problemi sociali e ambientali».

Questa è la mission che si legge sul sito della Compagnia di finanza etica, una finanziaria che si autodefinisce una metaimpresa che sostiene lo sviluppo percorribile e che investe in progetti legati al mercato delle materie riciclate, cioè a quella fase fondamentale ma purtroppo tanto negletta del ciclo integrato dei rifiuti, che pure meriterebbe almeno la stessa attenzione che si dà alla fase delle raccolte differenziate.  

Tra i progetti seguiti c'è anche la nascita di Keorex , un nuovo polimero derivato interamente dal riciclo delle bottiglie in  pet, già utilizzato per la produzione di un'intera gamma di accessori per supermercati (carrelli, cestini, porta cestini) nell'ambito del sistema ekologic shop to shop: quello che esce dal supermercato e diventa rifiuto (le bottiglie in pet appunto) rientra nel punto vendita rinnovato. L'unico vincolo che rimane è quello normativo, in quanto al momento per motivi legislativi, in Italia la plastica riciclata non è idonea al contatto con alimenti ma lo sarà quasi certamente dal prossimo anno quando finalmente ci allineeremo al resto d'Europa e quindi per il Keorex e tutti gli altri materiali derivati dal riciclo si apriranno finalmente nuove prospettive.

Al presidente di Compagnia di finanza etica, Michelangelo Bergia, chiediamo se questo adeguamento normativo avrà un impatto positivo sull'intero settore delle materie prime seconde, oggi piuttosto bloccato.

«Dal primo luglio 2010 salvo proroghe sarà consentito anche in Italia produrre una bottiglia con il pet riciclato, e così per qualsiasi alimento sarà possibile avere un imballaggio riciclato, ma il problema è un altro e deve essere affrontato alla radice, partendo da una domanda: possibile che noi italiani ci si debba sempre accontentare del "meglio tardi che mai"? Anche in questo caso avremo infatti il primato negativo perché bottiglie in plastica riciclate sono già in vendita da anni in tutta Europa, dal Belgio alla Repubblica Ceca ed anzi in Francia è diventato motivo di vanto e di greenwashing il fatto di offrire imballaggi in pet riciclato, peraltro in gran parte trasformato da aziende italiane».

Affrontiamo il problema alla radice come dice lei: come mai l'Italia arriva ultima?

«Rispondo con una domanda. Secondo lei se i consorzi di recupero di filiera sono dati in gestione ad aziende che producono quel materiale ma vergine, può esistere un mercato per i prodotti riciclati? Facciamo l'esempio di Corepla: nel consorzio da un anno per la prima volta è entrato anche un rappresentante dei riciclatori, tutto gli altri sono imprese che producono plastica da materia vergine. Quali interessi faranno? Questo è un paradosso e un palese conflitto di interessi, che però in un paese devastato dal conflitto di interesse con la B maiuscola come l'Italia, nessuno sembra vedere. E' normale comunque che un'azienda faccia i proprio interessi, non è normale invece che un politico, ovvero qualsiasi legislatore da vent'anni a questa parte, non faccia gli interessi dei cittadini».

Il problema quindi non è del Corepla o di un altro consorzio, l'errore sta in come è stato strutturato l'intero sistema ?

«Certo. E non dico che all'inizio non andasse bene, dico che adesso siamo in una situazione paradossale. Vuole un altro esempio? Il vetro: tutti dicono che il vetro è ecologico, in realtà solo e soltanto il vetro a rendere è ecologico, il vetro a perdere è un'aberrazione ecologica in termini di emissioni inquinanti prodotte. Eppure ormai solo in qualche ristorante esiste il vetro a rendere e in ogni caso solo per l'acqua. Perché non si fa anche per le bottiglie di vino per esempio? In Repubblica Ceca- e non parliamo certo di paesi ecologisti per eccellenza come quelli scandinavi - una bottiglia di birra viene riutilizzata almeno per 10 anni prima di diventare rifiuto: da noi invece si spaccia il riciclo per la rottura e la rifusione....»

Si tratta comunque di riciclo. E a fronte di un consumo inequivocabile di energia c'è almeno il recupero di materia salvo i residui della trasformazione.

«Ha ragione. Allora mi correggo: c'è solo spreco energetico e non di materia. Ma visto che oggi l'elemento base per misurare l'inquinamento è la Co2, il vetro a perdere, anche riciclato, resta un'aberrazione ecologica. E comunque anche qui vale lo stesso discorso della plastica e di tutti gli altri consorzi: a gestirli sono i produttori della materia vergine e quindi ancora una volta mi chiedo: o queste regole sono state scritte (e non sono state successivamente corrette) da degli ignoranti oppure da grandissimi furbi. Il risultato, per tornare alla plastica, è che in Francia si immettono ogni anno al consumo 300mila tonnellate di pet e se ne recuperano 150mila. Mentre in Italia se ne immettono 450mila e se ne recuperano 120mila».   

Certe politiche non indirizzate alla sostenibilità, ovvero al risparmio dei flussi di energia e di materia, possono alla lunga causare anche un deficit imprenditoriale?

«E' molto probabile, anche se per il momento le tecnologie e le imprese italiane che si occupano di recupero di materia ci sono e sono anche apprezzate all'estero. Per esempio diverse aziende italiane sono produttori di ‘scaglia', che è il risultato della triturazione delle 120mila tonnelate di pet riciclate. L'80% di questa scaglia va a finire nel tessile, che fino a pochi anni fa riceveva il 100%. Oggi invece una buona parte di questo semilavorato viene indirizzato ad altri settori e utilizzato per creare oggetti di uso quotidiano, come per esempio i carrelli per la spesa. Ci sono diverse imprese che lavorano in tal senso e che noi finanziamo».

A proposito, e per concludere, può una finanziaria essere etica?

«Sì, se l'obiettivo è quello di contribuire alla diffusione di un nuovo modello economico che coniughi sostenibilità etica e ambientale e percorribilità finanziaria e che presupponga pertanto un contesto sociale (politico, culturale, mediatico) coerente con una finanza consapevole, dove la protagonista è l'impresa che produce ricchezza non solo economica».  

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